La serie Netflix 'Acab', sequel del film del 2012, esplora ancora una volta il mondo delle Forze dell'Ordine, in particolare il reparto di polizia 'celere', con i suoi protagonisti e le sue sfide. Tra le nuove sfide, il confronto con il movimento No Tav a Torino, che porterà alla luce le diverse visioni dell'ordine e della legge.
Arriva su Netflix forte di grandi attese, di nomi importanti del cast e di una firma, quella di Stefano Sollima , che è quella di uno dei pochi registi italiani che può rivendicare una centralità nello scenario internazionale. Concepito come sequel di quel film che tanto fece discutere e divise la politica e l'opinione pubblica 13 anni fa, 'Acab' mostra delle potenzialità interessanti, anche se non tutto appare perfetto.
'Acab' nasce dalla volontà di continuare ciò che era cominciato con quel film simbolo dell'Italia ancora segnata dalla vergogna di Genova 2001. Stefano Sollima è produttore esecutivo, la regia è di Michele Alhaique, e tra gli sceneggiatori figura anche quel Carlo Bonino, che firmò il romanzo originale, considerato un capolavoro del genere. E quindi eccoci ancora una volta tra i reparti della celere, dove ritroviamo alcuni di quei personaggi che il film fece diventare il simbolo di quella sottile linea che separa l'ordine pubblico dall'eversione. Ricompare il Mazinga di Marco Giallini, sempre in prima linea, con una squadra da guidare tra fumogeni e grida. Questa volta se la devono vedere a Torino con il movimento No Tav, in una notte oscura e violenta, che cambierà la vita di molti di loro. La sorte farà incrociare i passi di Mazinga con quelli di Michele (Adriano Giannini) che si è guadagnato presso il reparto la nomea di uno troppo morbido, ingenuo e poco energico per comandare chi se la deve vedere con la peggio umanità di strada. Oppure no? Sarà proprio il confronto tra queste due concezioni di divisa a tenere banco fin dall'inizio. 'Acab' già in questi episodi si fa forza di una regia dinamica, robusta, riesce a trascinarti dentro quella calca di corpi, scudi, manganelli e sudore, ti fa respirare la tensione e la paura di chi ha a che fare con la violenza tutti i giorni. In perenne movimento tra Torino e la capitale, 'Acab' segue grossomodo la struttura diegatica del film del 2012, nel proporci un evento traumatico, ben oltre i limiti della legalità e l'inevitabile contrasto che nascerà nel momento in cui le diverse anime delle Forze dell'Ordine si paleseranno. L'Italia è cambiata, pari dirci la serie, la stessa concezione dell'uomo in divisa è cambiata, ma certe cose invece sono rimaste uguali. Basterebbe aprire un giornale di queste ultime settimane per trovare tanti episodi, sovente tragici, da cui emerge ciò che già nel suo libro Bonino aveva cercato di farci capire: in quanto braccio del potere esecutivo, le forze dell'ordine camminano sempre su un equilibrio precario, dove il rispetto della legge può diventare prepotenza nel giro di un attimo. Il che è anche il tema principale di questa serie, prodotta da Cattleya, anche se nei primi due episodi forse manca quell'ingrediente in più. 'Acab' può rivendicare un cast perfettamente assortito, che oltre a Giallini e Giannini, annovera Valentina Bellé, Pierluigi Gigante, Fabrizio Nardi, ma alla fine emerge forse un po' di prevedibilità nella caratterizzazione dei loro personaggi e delle rispettive vite. Marco Giallini, voce sempre più roca, è sicuramente funzionale e credibile, anche se ormai pare che da anni che interpreti bene o male più o meno lo stesso personaggio. Adriano Giannini invece, dopo 'Adagio', torna nei panni di un personaggio in divisa interessante, qui un po' più legato al concetto di antieroe portatore di una diversa visione della legge e della sua applicazione. 'Acab' per il resto forse ha troppa fiducia in personaggi tagliati con l'accetta, per quanto efficaci. L'agente divorziata e con una maternità difficile con cui fare i conti, l'esaltato adrenalinico fedele al clima di omertà e violenza, quello più dubbioso che ha paura di perdere il posto, il vecchio comandante che si aggrappa ai ricordi e alla sua rabbia. Ad 'Acab' però non manca coerenza, la volontà di un realismo che vada oltre le immagini e abbracci la stessa identità di una narrazione che non commette soprattutto l'errore di giudicare i suoi personaggi. Tuttavia alla serie è come se mancasse un casus belli o una svolta narrativa veramente radicale, che rimane nell'ombra e non si palesa o forse non esiste. L'insieme appare a volte condizionato da un eccesso di linearità, per quanto non manchino immagini forti, una chiara vocazione da cinema civile, la volontà di illuminarci su un mondo particolare, distante dalla realtà della società normale, in cui ancora oggi riecheggiano gli echi di una negazione del concetto di democrazia. 'Acab' però ha tutte le carte in regola per essere una serie interessante e vibrante, rimane però da capire quanto la scrittura riuscirà ad essere all'altezza delle potenzialità, e quanto invece dovrà appoggiarsi alle scene d'azione per mantenere interesse
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