Valeva più di quanto gli riconoscessero: era un regista che era anche un trequartista, ma ritagliare un ruolo per lui significava fargli torto
Di quell’Inter leggendaria, il suo era l’ultimo nome. Veniva dopo Suarez e prima di Miniussi che però stava in panchina. Aveva l’undici sulla maglia, quando più in là con i numeri non si poteva andare. Un’ala sinistra a dar retta a quello che c’era scritto sulla sua figurina. Molto di più a vederlo in campo.Come tutti i geni, non solo nel calcio, abitava pianeti dove i normali non avevano permesso di soggiorno.
faceva finta di non distinguere il suo nome su quel foglio che avrebbe voluto dire tanti milioni in entrata. Il figlioanni dopo credette di trovarne uno uguale a lui in Sudamerica che si chiamava Alvaro Recoba. Giusto per dare un’idea ai ragazzi di oggi. Ma non era la stessa cosa. Mario era di quei giocatori che un allenatore non ci dormiva la notte e anche i tifosi ma per motivi diversi.ma pensare a un ruolo ritagliato per lui voleva dirgli fargli torto. Era arrivato all’Inter giovanissimo con la certezza che sarebbe diventato un fuoriclasse. Peccato, per i critici e gli allenatori, che lo fosse già. Erano loro che non se n’erano ancora accorti.
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