91. Algofobia
«Caro Alessandro, non ci conosciamo. Ho 19 anni e ho letto il suo ultimo libro:. Mi ha aiutato a riflettere perché, come Omero Romeo, ho una malattia genetica che col tempo mi renderà cieco. Non si sa tra quanto, ma si sa che quasi sicuramente quello sarà il decorso.
Queste righe di Andrea, ricevute qualche giorno fa, mi confermano quanto annotò lo scrittore C.S.Lewis nel suo libro più sofferto e bello, scaturito dal dolore per la morte della moglie: «Avevo pensato di poter descrivere uno stato, di fare una mappa del dolore. Invece ho scoperto che. Non gli serve una mappa ma una storia. Ogni giorno c’è qualche novità da registrare...
Eppure il dolore oggi sembra privo di senso, come mostra lo spaesamento interiore causato dalla pandemia. Per questo il filosofo Byung-Chul Han, in, definisce la nostra cultura «algofobica»: terrorizzata dal dolore, fino alla paralisi. Se il concetto di vita si riduce all’ambito biologico e quindi medico, vita coincide con la salute e dolore con il male.
Per poterla «sfruttare» serve però ampliarne il significato oltre il biologico/medico e restituirlo all’esistenza integrale : questo gli dà senso, non lo rende scandaloso ma raccontabile, lo trasforma — dice Lewis — in storia. Ma può essere «accolto» come seme e «raccolto» come frutto solo se entra nel solco interiore, diventa carne nostra.
Quella scomoda verità forse potrà farsi carne, cioè vita, e lui non sentirsi un peso, ma avere peso., fa ri-nascere, cioè fa nascere fino in fondo la nostra unicità: è levatrice di originalità.
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