Diana morta di stenti, la mamma Alessia Pifferi resta in carcere: è accusata di omicidio volontario
Una persona «capace di commettere atrocità», pericolosa e che non ha avuto «scrupoli», volendo portare avanti le sue relazioni e divertirsi, ad abbandonare da sola in casa per quasi «sette giorni» nella «culletta» sua figlia Diana di un anno e mezzo, facendola morire di «stenti».
Dalle varie testimonianze raccolte nell'inchiesta della Squadra mobile emerge anche la descrizione di una persona che viveva raccontando tante «bugie». Quelle che avrebbe detto al compagno - che ha raggiunto a Leffe la sera del 14 luglio lasciando la piccola nel lettino della casa di via Parea - quando gli ha spiegato che Diana era al mare con la sorella. «Ero all'oscuro di tutto», ha detto l'uomo, distrutto, davanti agli investigatori.
Agli inquirenti ha spiegato di essere «disoccupata», ma indagando si è scoperto che aveva entrate con cui riusciva a mantenersi e proprio su questo aspetto, con l'analisi di chat sequestrate nel suo telefono, la Procura sta facendo approfondimenti, a partire anche da quelle frequentazioni di uomini conosciuti sui social.
Ieri è stata sentita dal gip Fabrizio Filice, ma il suo legale, l'avvocato Raffaella Brambilla, non ha voluto chiarire in che modo abbia provato a giustificare il suo comportamento. Era consapevole, e l'ha già detto, che «poteva andare così», che Diana poteva morire senza essere nutrita e accudita per tutti quei giorni.