Il costo della vita aumenta, sempre più ticinesi si trasferiscono qui da noi (senza dichiararlo), ma continuano a lavorare nel loro cantone
«La vostra burocrazia mi spaventa. Per questo non mi decido a cambiare residenza e trasferirmi ufficialmente in Italia». Anna, 40 anni, un compagno milanese e una figlia “svizzerissima” di 3 anni, vive nel nostro Paese da più di 10 anni, ma non ha ancora avuto il coraggio di tagliare definitivamente i ponti con la Madre Patria.
Secondo i dati dell’Ufficio Cantonale di Statistica , dal 2011 al 2018, i ticinesi che si sono trasferiti ufficialmente da noi sono raddoppiati; non si conoscono, invece, quanti siano gli espatriati non dichiarati come Anna. Tutti però hanno scoperto il beneficio di fare il frontaliere: gli affitti costano molto meno, è possibile risparmiare per comprare una casa e la vita sociale e culturale in Italia è percepita come più stimolante rispetto a quella di Chiasso o Lugano.
Secondo gli accordi internazionali, chi lascia la Svizzera per più di 90 giorni e chi risiede su suolo italiano per più di 180 notti deve dichiararsi alle autorità. E se lo stipendio resta in franchi si può scegliere di chiedere un trasferimento che non preveda attività lucrative all’estero. I cittadini in grado di dimostrare di avere entrate che permettono loro di non lavorare possono beneficiare di un permesso di soggiorno di 5 anni.
L’associazione Ticino&Lavoro ha condotto un sondaggio su 3.900 persone: ne risulta che una su tre sta valutando un trasferimento oltre confine. Ci spiega Giovanni Albertini, fondatore dell’associazione, che a sua volta ha soppesato più volte l’opzione Italia: «Si tratta di una tendenza che si è intensificata negli ultimi tre, quattro anni. Gli stipendi non sono adeguati al caro vita e tre quarti dei ticinesi non riescono a mettere via nulla alla fine del mese».
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