Le vite libertine e il balsamo della vera lingua italiana Giorgio Ficara è erede di Sciascia e Savinio, Parise e La Capria, Garboli e Manganelli. Il suo libro edito da lanavediteseoed è una galleria d’amatore in cui la prosa è conversevole ed elegante
, untrattato sulla fisica di Newton; Diderot, il letterato filosofo inventore della Modernità, geniale e campione di primavoltità , qui tutto preso dell’amore per Sophie Volland , che è per lui «la creatura più intelligente dell’universo, dunque la più bella»; Helvétius,, indulgente e incline ai piaceri «ma poi consacrato alla donna della sua vita e a un unico libro»; Jean Baptiste Le Rond d’Alembert, matematico e fisico,, «povero,...
Ficara lo chiarisce subito, il paradigma dei quadri in galleria: «La felicità si impara, come l’algebra e il latino». . «E i libertini, dal primo all’ultimo, dall’ingegnoso Gassendi, che confutò Cartesio, al poverodelle tavole di Hogarth, lo sapevano benissimo.
Spiccano tra gli altri – e non stupisce – i tre quadri con protagonista il vecchio aristocratico Timoleone e la nipote Linette, impegnati in un dialogo che è per lui memoria e curiosità per la nipote. . Il dialogo è scandito dalleche Timoleone racconta alla nipote, illuminanti i princìpi e l’uso dei giorni dei libertini compagni di giovinezza – nipote che appare verain fiore, e curiosa di quel tempo e i suoi protagonisti.
Timoleone è alter ego e summa dei libertini tutti, colto come tutti gli altri all’autunno inoltrato della vita e lucido: un uomo fedele alla singolare filosofia dei compagni di giovinezza, pronti a cogliere un pensiero e sperimentarlo, per poi lasciarlo andare. Dice alla nipote: «Con l’ironia ci riprendiamo ciò che abbiamo appena detto – la verità, presumibilmente – e la gettiamo via, stiamo dentro e fuori della verità nello stesso istante».