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Anche la decima edizione della Coppa del Mondo di rugby, la cui finale è in programma sabato sera allo Stade de France di Parigi, avrà come vincente una nazionale dell’emisfero australe, dato che le finaliste sono. Non è una grossa sorpresa, visto che nella storia della competizione hanno vinto nove volte su dieci squadre dell’emisfero australe.
In breve tempo le nazionali dell’emisfero sud progredirono a una velocità ben maggiore rispetto al passato e guadagnarono ancora più vantaggio nel confronto con le vecchie nazionali dell’emisfero nord, che invece ci misero più tempo ad accettare il professionismo e ancora di più per adattarsi ai nuovi standard, anche in assenza di sostegni economici come quelli garantiti da Murdoch.
Dopo quel torneo la Nazionale inglese si mise alla ricerca di un nuovo allenatore e scelse quello che sembrava meno quotato, Clive Woodward, che era stato giocatore, allenava nel campionato inglese ma la cui attività principale era una piccola azienda di noleggio di apparecchiature elettroniche da ufficio.
Dopo la “tournée infernale” e la Coppa del Mondo dell’anno successivo, persa ai quarti di finale contro il Sudafrica, fu proprio Wilkinson il giocatore che rispecchiò maggiormente i cambiamenti in atto nel rugby inglese. Già noto per una devozione assoluta, quasi ossessiva, nei confronti del rugby, Wilkinson cambiò e intensificò i suoi allenamenti stimolato dall’idea di dover prepararsi meglio di chiunque altro.
In quel periodo anche le questioni che avrebbero potuto rappresentare degli ostacoli ebbero degli effetti positivi, come quando nel 2000 i giocatori inglesi proclamarono uno sciopero senza precedenti nella storia del rugby locale. Lo fecero per chiedere retribuzioni adeguate per tutte le iniziative commerciali in cui venivano coinvolti senza però ricevere alcun compenso.
Una persona in particolare innovò i metodi di preparazione: Sheryll Calder, neuroscienziata sudafricana che aveva lavorato soprattutto nel cricket. Calder si era specializzata nella cosiddetta “consapevolezza visiva” applicata allo sport, in quegli anni chiamata anche “il body building degli occhi”. Calder allenò per anni i giocatori a potenziare la vista periferica, a migliorare l’uso del cosiddetto occhio debole e a usare la vista per migliorare la concentrazione.
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