La Fifa pronta ad intervenire per dettare una linea comune a cui i giocatori saranno invitati ad adeguarsi
TORINO. In ordine sparso. Almeno per ora. Il tema del taglio degli stipendi in tempo di emergenza sanitaria e di pallone fermo attraversa l’Europa e va incontro a scenari diversi, a volte opposti. I più virtuosi stanno in Germania perché dalla Bundesliga continuano ad arrivare segnali di grande consapevolezza: club piccoli e società nobili si parlano e, soprattutto, parlano la stessa lingua.
In Francia il clima e il contesto hanno una specificità del tutto particolare perché il mondo del calcio viene equiparato al mondo del lavoro e, così, dal Nizza al Montpellier, dal Lione al Nimes al Bordeaux, i vertici della gran parte delle squadre francesi hanno dato concretezza alla “disoccupazione parziale”, strumento che consente in tempi di crisi di pagare gli stipendi fino al 70 per cento lordo .
Se il pallone spaventato dalla crisi rotola Oltremanica, venerdì prossimo la Premier League si metterà al telefono per trovare un punto di caduta comune: la strada di tagliare gli ingaggi mensili è presa, occorre tradurla in cifre e numeri. Per ora, sono i piccoli, grandi esempi a rubare la scena come quelli del Leeds del tecnico Bielsa impegnato in un’operazione per salvaguardare il futuro di 262 dipendenti della società.
E, la Spagna? Il caso più rumoroso è quello del Barcellona dove Messi e compagni si sono rifiutati di accettare la proposta di un taglio del 50 per cento avanzata dal club. Ed ora riflettori sul tribunale del Lavoro della Catalogna a cui si rivolgerà, in queste ore, il Barcellona visto che è stato proclamato l’allarme nazionale lo scorso 14 marzo.
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