Di Gregorio: dal sogno Inter alla Juve, un percorso fatto di passione e determinazione

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Di Gregorio: dal sogno Inter alla Juve, un percorso fatto di passione e determinazione
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L'ex portiere dell'Inter, ora titolare alla Juventus, racconta il suo percorso iniziato dai campi di Corsico fino alla Continassa, un cammino segnato da scelte coraggiose, fedeltà alla famiglia e un'incessante voglia di migliorare.

Sarà come chiudere un cerchio. Da bambino a uomo. Il bambino è quello che a 6 anni, a Corsico, alle porte di Milano sud e a circa mezz'ora di macchina da San Siro, lasciava controvoglia il campetto e le partitelle con gli amici quando papà Marcello lo chiamava per accompagnarlo alla Pinetina per i provini e poi per gli allenamenti. L'uomo (volendo anche 'l'uomo Digre') è quello che ora ospita a casa sua per la prima volta la sua ex, e non una qualunque. La prima.

Anche se la prima volta in assoluto che Michele ha giocato contro l'Inter in Serie A indossava la maglia del Monza e si avvicinava con l'umiltà che l'ha sempre contraddistinto a una sfida che davvero per lui è stata uno spartiacque di carriera. Di vita addirittura. Lui con i colori nerazzurri ci è cresciuto, li ha indossati da pulcino a nemmeno 7 anni e via avanti fino alla Primavera, con cui ha vinto uno scudetto. Poi però le loro strade si sono divise e quella storia, fatta di crescita e di vicinanza nel momento più buio, quando papà Marcello se n'è andato e Michele aveva appena 13 anni, è finita. 'L'Inter mi è stata molto vicino - disse DiGre alla Gazzetta - . A casa avevo mia madre, mia sorella Angela, mio zio Gianni e mia nonna. Fuori c'era l'Inter'. Tre anni più tardi si è tatuato quel nome sull'avambraccio; servì l'autorizzazione di mamma Agata visto che era minorenne e ogni volta che in campo alza sguardo e indica il cielo il pensiero va sempre e solo lì e a un impegno di cuore e carriera che ha fatto di tutto per mantenere. 'L'ho promesso a papà, devo arrivare in Serie A, costi quel che costi'. Eccolo il motore silenzioso di quegli anni, in cui il gioco poteva diventare carriera, e degli anni successivi, quelli delle decisioni più difficili e, in qualche modo, forti. Come quando, pur di giocare di più, ha rinunciato all'Inter, la squadra che l'aveva accolto bambino e che l'ha salutato 19enne. Mosso dalla sua forza, da un progetto e da quella promessa: un addio, un grazie e via, anche a costo di scendere di categoria. Ha lasciato la Pinetina, archiviata nel passato insieme agli allenamenti con Handanovic, l’idolo di sempre con Buffon, e ha abbracciato la Serie C, sempre professionismo ma due serie più in giù. Presero lui e il suo agente per pazzi. Ma alla fine Michelone, portiere da sempre, anche quando giocava al campetto vicino casa con suo cugino, si è lanciato su questa decisione per nulla scontata come fa su un qualsiasi pallone passi dalle sue parti. Juventus, qui sono nel posto giusto Renate (Brianza, poco meno di 4 mila abitanti) l’ha accolto nel 2017 e gli ha regalato la prima esperienza nel professionismo. Un giovane portiere che 'non aveva paura di niente', lo ricordano così. Poi è arrivato l’Avellino, quindi il Novara, il Pordenone e il Monza per avvicinarci alla storia recente. Ed è proprio in Brianza che l’“uomo Digre” ha convinto definitivamente. Miglior portiere della passata stagione (premio ricevuto, per casualità e destino, all’ultima giornata nella cornice dell’Allianz Stadium) e primo tassello posizionato da Cristiano Giuntoli nel mosaico bianconero del nuovo corso di Thiago Motta. A Torino ha capito da subito di essere nella sua dimensione ideale. 'L'aria speciale' che ha respirato dal primo momento in cui ha messo piede alla Continassa è stata una conferma per lui che alla fine dello scorso campionato aveva già dato la sua parola a Giuntoli e l'ha mantenuta senza più pensare ad altre soluzioni né farsi ingolosire da chiamate inglesi (leggi Liverpool). Consapevolezza e mentalità. E un pensiero alla famiglia, anche a quella che ha creato con la sua Samantha che l’ha seguito ovunque. Si sono conosciuti da ragazzini a Corsico, fidanzatini da quando avevano 16 anni e ora marito e moglie, genitori di Marcello e Riccardo. 'Penso di aver fatto un percorso dal basso che mi ha aiutato giocare, sbagliare è lavorare sugli errori. Il lavoro e la costanza mi hanno portato oggi ad essere qui'. E se si guarda indietro, Di Gregorio è tipo che si concentra solo sul percorso fatto, senza rancore. Ma con la lucidità di chi ha presto capito che, nonostante la grandezza della squadra, i ricordi e il fatto che sia stata la sua prima, all'Inter non sarebbe rimasto (né tornato) per fare il dodicesimo o il tredicesimo. 'Il calcio giovanile genera false speranze - aveva detto in un'intervista a Repubblica -. Se sei nella Primavera dell’Inter ti credi già giocatore, hai gli sponsor, le comodità, ti sembra tutto già fatto. Anch’io ero andato oltre, ma sono stato bravo a tornare indietro. Se ti cerca il Pordenone, è perché vali il Pordenone. Tornare all'Inter? Non me lo sono mai veramente aspettato, se però fosse successo avrei voluto farlo dalla porta principale, la comparsa non l’avrei mai fatta’. Niente di più lontano dal ruolo che la Juve gli ha cucito addosso. E alla fine, anche per questo, lui non ha mai avuto dubbi: 'Qui sono nel posto giusto'

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