Un'intervista esclusiva a Ferzan Özpetek, uno dei registi italiani più apprezzati, che si sofferma sul suo nuovo film corale 'Diamanti'. Il regista racconta le sue ispirazioni, la sua collaborazione con attrici come Mara Venier, Kasia Smutniak e Luisa Ranieri, e il suo pensiero sulla società italiana di oggi.
Ripubblichiamo l'intervista di cover di Simone Marchetti a Ferzan Özpetek , tra gli articoli più apprezzati dai nostri lettori nel 2024. Fermo lì. Non parliamo dei progetti futuri, glieli chiederò dopo. Mi parli, invece, di questo nuovo film corale che vedremo a dicembre. È soddisfatto di come sta venendo? «Soddisfatto io? Mai stato in vita mia. Sono contento, piuttosto. Contento di quello che mi hanno dato queste attrici.
Sono andato a toccare un periodo della mia gioventù quando facevo l’aiuto regista alle prime armi. Accompagnavo spesso regista, costumista e attrici in una sartoria meravigliosa di Roma e studiavo tutto quello che mi accadeva intorno. Mi ricordo i grandi costumisti del cinema: Maurizio Millenotti, Gabriella Pescucci, Piero Tosi. Che mondo affascinante, che talenti incredibili. Tosi è stato fondamentale per me, mi dava consigli, mi raccontava tutti gli aneddoti di Visconti e Fellini e con me leggeva le sceneggiature fino alle due di notte. Il giorno dopo andavo sul set a girare e mi tenevo a mente i suoi appunti. E in questo film collaboro con un altro grande costumista: Stefano Ciammitti». Alla fine degli anni Settanta, a Roma, lei ha studiato moda e costume… «Nel 1976/77 ero iscritto all’Accademia di Moda e Costume, ero molto bravo a disegnare ma capivo di amare il cinema. Come ho detto più volte, l’incontro con Massimo Troisi mi ha aperto la strada e ha chiarito quali fossero davvero la mia strada e il mio destino». Diamanti, il suo nuovo film, parla solo di donne. Un cambio di rotta dalle sceneggiature precedenti? «Domanda interessante che mi fa pensare a una delle risposte più giuste che ho dato nelle mie interviste. Una volta una giornalista mi ha chiesto come mai nei miei film metto sempre una storia omosessuale. Io ho risposto: “Non sono io a mettere quella storia, sono gli altri a toglierla sempre”. Quanti film italiani, prima di me, parlavano di questo argomento? Pochi. Quasi nessuno. Detto questo, io racconto quello che conosco. E questa volta, più della storia, volevo raccontare l’intesa che instauro con le attrici, con le donne. È un’intesa diversa da quella con gli uomini. È più profonda. Le donne hanno un sesto senso sulle cose, non hai bisogno di parlare né di spiegare, ti intendi subito. Con Mara Venier ho un rapporto viscerale. E così anche con Kasia Smutniak. Lo stesso vale con Luisa Ranieri. E quando parlo con loro, non solo mi sento capito. Mi sento cresciuto. E poi è sempre tutto così caotico, così fuori dagli schemi, così inaspettato. Per un ruolo dovevo prendere un’attrice spagnola famosa. Poi ho scelto Vanessa Scalera. Lei arriva da me un giorno e scopro che dimostra venti anni di meno rispetto a come la truccano in televisione. Dovevamo parlare quindici minuti e invece siamo rimasti insieme quattro ore a bere quattro gin tonic. Ho un rapporto speciale con tutte queste donne». Tutte le attrici mi hanno confidato che sul set si piangeva molto… «Si piange perché ci sono grandi emozioni. E ogni personaggio contagia l’altro con la profondità del sentimento. È stata un’esperienza bellissima». Lei ripete spesso nelle interviste che gli anni Settanta in Italia erano un’epoca di apertura mentale, di femminismo, di libertà sessuale. Poi prima è arrivato l’Aids, dopo i social media e i populismi. E oggi torniamo indietro invece di andare avanti. Che cosa ne pensa? «Quando sono arrivato nel 1976 in Italia questo Paese era un posto meraviglioso. Erano anni di incontri, stavi sempre a casa di qualcuno. Ricordo che si usava portare quel vino Mateus alle cene. Tutti erano molto, molto più liberi. In quel periodo, poi, la prima cosa che facevi quando conoscevi qualcuno era andarci a letto. Dopo decidevi se frequentarlo, se diventarci amico, se non te ne importava molto. E se invece mi chiede un giudizio sui social media, be’, per me hanno rovinato totalmente i rapporti umani. Non c’è più conoscenza diretta delle persone e non percepisci più il senso delle cose vere e reali. È tutto troppo filtrato, troppo fasullo». Nella sua carriera, coi suoi film, i suoi libri, i suoi spettacoli teatrali, lei è sempre riuscito a rendere popolari e comprensibili tanti argomenti complessi e difficili. Certa politica progressista dovrebbe imparare da lei? «Non lo so. Ho sempre seguito istinto e cuore. Non nascondo niente. Una volta, un critico americano mi disse che con Le fate ignoranti ero stato troppo avanti per il mercato americano. L’ho capito quando andai in un negozio di dvd, e cercando il film, che in America s’intitolava The Secret Life, non lo trovavo. Allora il rivenditore mi disse: “Per forza, deve cercarlo nella sezione film gay”. Ma io dico: ma che vuol dire? Sì, forse sono arrivato troppo presto. Ma non è questo il punto. La questione è un’altra: io giudico le persone dalla cintura in su. Cuore e testa. La sessualità non va mai giudicat
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