È la storia di un re», mi disse Francis Ford Coppola, dopo che lo avevo tormentato per sapere come avrebbe definito, con poche parole, il suo capolavoro. «Un re che ha tre figli: il primo eredita dal padre la dolcezza, il secondo la forza e il terzo l’intelligenza». Il film di cui parlava era Il Padrino, e sapeva di aver realizzato una tragedia shakespeariana, cercando di comprendere gli uomini prima dei criminali. Non c’è occasione, pubblica o privata, in cui non venga tuttora sollecitato a parlarne, ma nonostante sia irritato dall’essere identificato quasi esclusivamente con quel film straordinario, cerca sempre di dare una risposta non banale. Ha il carisma del patriarca, placido e potente: ovunque vada si forma immediatamente una fila di persone che vanno a omaggiarlo anche quando sono presenti altre star di prima grandezza. Ed è affascinante sentirlo rievocare le infinite battaglie senza cedere al rancore della sconfitta, né alla vanità della vittoria: gran parte le ha combattute perché ha precorso i tempi, puntando all’innovazione e alla qualità, come ha raccontato in Tucker, la storia del costruttore di macchine splendide e rivoluzionarie che venne fatto fallire dalle grandi case automobilistiche. «Quello che conta è aver fatto vincere un’idea», affermava il protagonista nel finale di quel bellissimo film autobiografico, ed è quello che dice lui senza mai alzare i toni. Da grandissimo uomo di spettacolo, sa quando è il momento di proporre le sue idee: qualche anno la Film Society del Lincoln Center gli attribuì il premio alla carriera, e nel discorso di ringraziamento prese di mira la decadenza di Hollywood. «I film ormai ripetono stancamente formule uguali a se stesse, senza idee e senza rischi. E le pellicole obbediscono solo a due comandamenti: eccitare e tranquillizzare. Ma è come se l’intera industria farmaceutica producesse solo Viagra e Valium». Fu un ennesimo trionfo per un artista che nel giro di sei anni ha realizzato quattro capolavori consecutivi
È la storia di un re», mi disse Francis Ford Coppola, dopo che lo avevo tormentato per sapere come avrebbe definito, con poche parole, il suo capolavoro. «Un re che ha tre figli: il primo eredita dal padre la dolcezza, il secondo la forza e il terzo l’int, e sapeva di aver realizzato una tragedia shakespeariana, cercando di comprendere gli uomini prima dei criminali.
Da grandissimo uomo di spettacolo, sa quando è il momento di proporre le sue idee: qualche anno la Film Society del Lincoln Center gli attribuì il premio alla carriera, e nel discorso di ringraziamento prese di mira la decadenza di Hollywood. «I film ormai ripetono stancamente formule uguali a se stesse, senza idee e senza rischi. E le pellicole obbediscono solo a due comandamenti: eccitare e tranquillizzare.
Per comprendere l’animo e le scelte di questo titano è necessario ricordarne le radici: Francis, che deve il secondo nome Ford al fatto di essere nato a Detroit, appartiene a una delle grandi famiglie dello spettacolo americano: il padre Carmine, nativo di Bernalda, in Basilicata, era un musicista apprezzato, e ha suonato come flautista per Toscanini. La madre Italia Pennino è una zia di secondo grado di Riccardo Muti, e la moglie Eleanor ha diretto.
«L’arte dipende in egual misura dal talento e dalla fortuna», afferma ripetutamente, ma è il primo a non crederci sino in fondo, dando primaria importanza all’abnegazione del duro lavoro quotidiano: «non esiste artista, di qualunque livello, che non abbia dubbi su quello che sta facendo».
i ed eccessi, specie in quegli anni, come peraltro successe a tutta quella generazione, a cominciare da Cimino e Bogdanovich. In alcuni suoi film, per molti versi ammirevoli, qu, si sente la mancanza di una sana dialettica con un produttore: oggi ammette che «in quel periodo avevamo accesso a troppi soldi, troppo equipaggiamento, e, a poco a poco siamo impazziti tutti».
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