Franco Baresi, la leggenda del calcio italiano, racconta la sua storia di vita e il profondo legame con il Milan. Un rapporto durato 50 anni, nato da un'infanzia appassionata di calcio e consolidatosi negli anni difficili della gioventù e della carriera. Un amore che lo ha portato a vincere, a perdere e a ritrovarsi sempre con la rossonera al cuore.
Lo invitarono per un provino: rimandato. Richiamarono, e nessuno può bocciare Franco Baresi due volte di fila. Il resto, si dice, è storia. Baresi in un'intervista ha detto “non faccio passare un giorno senza dire ‘ti amo’ a mia moglie” ma il vero amore della sua vita è chiaramente l’altro, il Milan . Stanno insieme da 50 anni e non si sono mai lasciati, al massimo si sono presi una pausa ma hanno capito in fretta di non poter stare lontani.
Lo sanno anche ora: qualsiasi cosa facciano da adesso alla fine dei loro giorni, saranno legati per sempre. Torniamo indietro, ancora più indietro: che cos’era il Milan per il piccolo Baresi prima del colpo di fulmine? 'Ricordo di essere stato milanista, di aver guardato questi colori anche quando avevo 10 anni. Sono arrivato a Milanello per la prima volta da quattordicenne e mi sembrava di entrare in Paradiso'. Che cosa è stato il Milan in tutta una vita? 'La mia ancora di salvezza. Ho perso mia madre e mio padre quando ero ancora adolescente e il Milan mi ha accolto, ha dato un senso a tutto'. Che anni erano? 'Difficili, già non era semplice venire via dal paese, da Travagliato, per andare nella grande città. Erano tempi diversi da questi e lo stacco si notava molto. In una situazione così, devi avere la forza mentale'. E quella c’era... 'Sì, ho trasformato il dolore in rabbia e determinazione. È stato così per tutta la carriera'. Sempre nella stessa città, sempre con gli stessi colori. 'La storia mia e del Milan è difficile da ripetere. Io credo che esistano pochi rapporti così: il Milan ha dato un senso alla mia vita e insieme siamo tornati a vincere, in quegli anni con Sacchi' Che sentimento resta, alla fine di tutto questo? 'Riconoscenza'. Restano anche due soprannomi: “Piscinin” e “Kaiser Franz”, in omaggio a Beckenbauer. Piscinin, che usava anche Brera, le piace anche a 64 anni? 'Massì, mi ricorda una delle persone a cui sono più legato: Paolo Mariconti, il massaggiatore che per me è stato una figura molto importante. Fu lui a inventare quel soprannome, così milanese, quando ero ancora un ragazzo e giocavo già con i grandi in prima squadra. Ero il Piccolino della squadra'. Il Piscinin è diventato padre di famiglia in rossonero. Si è scritto di offerte di altre squadre rifiutate, soprattutto negli anni della B, ma qual è stato il momento in cui siete stati più vicini a lasciarvi? 'Da calciatore, mai. Credo che davvero non ci sia stato un momento da possibile addio. Restare al Milan è stata una scelta di vita. C’è stata quell’esperienza da dirigente in Inghilterra, quando avevo smesso...'. Nel 2002, al Fulham di Al Fayed: 81 giorni da direttore tecnico, poi l’addio. 'In fondo su soltanto un mese: prima della fine di agosto, ero già tornato a Milano. Avevo capito che non era il posto per me e in fondo, non ho neanche iniziato a lavorare. Il cordone ombelicale con il Milan non si è mai rotto'. Il mio pensiero è sempre stato per la squadra e il club, mai per me stesso, ma mi è sempre tornato indietro tutto E alla fine, il dirigente lo ha fatto per il Milan. 'Con Fondazione Milan ho conosciuto la povertà, in Kenya, in Marocco. In Libano mi sono messo a giocare per la strada con i bambini. Sono emozioni che mi hanno completato'. Conclusione facile: Baresi non sa stare senza il Milan? 'C’è sempre stato un rapporto di stima tra me e il Milan, tra alti e bassi. Il mio pensiero è sempre stato per la squadra e il club, mai per me stesso, ma mi è sempre tornato indietro tutto. Ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste al momento giusto'. Berlusconi, ad esempio. 'È stato come un padre e ha realizzato i miei sogni. Ritirare il numero 6 quando ho smesso è stata una cosa enorme'. Gianni Rivera. 'Il mio primo capitano. Lo avevo visto giocare, da vicino, nelle mie domeniche da raccattapalle allo stadio. All’inizio faticavo a dargli del “tu”, mi sembrava un personaggio lontano, ma la realtà è che mi ha protetto molto. Rivera e Bigon più degli altri mi stavano vicino tutti i giorni, mi tutelavano'. I ragazzi di oggi come guardano Franco Baresi? 'Ah, non lo so, andrebbe chiesto a loro. Io però vedo che i calciatori del Milan mi guardano sempre con grande rispetto. Sono stato in tournée con la squadra, la scorsa estate in New Jersey, e si vede che sanno chi sono, che cosa ho fatto per il club. Dare consigli ai ventenni di oggi non è semplice, abbiamo riferimenti diversi, vediamo cose diverse'. Che cosa resta, allora, di Franco Baresi? 'Questo lo vedremo più avanti. Io ho cercato di essere sempre un uomo sincero e metterci il coraggio, come il club e i milanisti meritavano. Il Milan in fondo è stato la mia seconda famiglia
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