Il re degli agenti coerente fino all'ultimo con il personaggio smentisce la notizia della propria morte. Ma è gravissimo
La bomba, perché di bomba si tratta, scoppia il 23 luglio 2009 attorno alle 12, ora locale di Los Angeles, Zlatan Ibrahimovic lascia l'Inter e Josè Mourinho è disperato. Con Ibra gioca un'Inter, senza Ibra gioca un'altra squadra.
Fargliela allo Special, anche se in quel momento non è ancora special, non è così semplice. Per un'intera settimana non si parla e non si scrive d'altro, il miglior calciatore della serie A e il maestro degli agenti sono nella hit delle notizie, qualcuno parla di mancanza di rispetto del calcio uscito dalle favole. Chiacchiere da illusi, Mino è sereno, mai visto altrimenti: Sono contento perché ho fatto il mio dovere e Ibrahimovic è soddisfatto.
Intelligenza superiore, al telefono risponde sempre, una sottile educazione che gli conferisce rispetto, ore a vuoto a chiamare anche l'ultimo dei dirigenti, lui no, tira su la cornetta e fa: Sì? Ah ciao. Anche se non ha la minima idea di chi ci sia dall'altra parte. Una vita emozionante, da Nocera ad Haarlem nella trattoria del padre, lo chiamano il pizzaiolo, lui precisa di non aver mai messo piede in cucina, solo un cameriere che dava una mano in casa con la passione per il calcio che lo porta a giocare, quindi a ricoprire la carica di responsabile del settore giovanile e poi direttore generale del club olandese. Alla fine si è fatto la sua azienda di milionari.
A gennaio le prime voci sulle sue condizioni e il ricovero d'urgenza al San Raffaele di Milano, solo controlli medici programmati, comunica il suo entourage, ma probabilmente è sottoposto al secondo intervento all'intestino per un male incurabile. E quando ieri si è diffusa la notizia della sua dipartita la reazione è stata immediata.
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