«Mi è difficile, quasi mezzo secolo dopo, ricordare nitidamente la conversazione. Ma il nocciolo della questione lo ricordo bene. Claudio Pica da Trastevere era sì furibondo; ma soprattutto ferito dal mio riferimento ai gemelli “grossi come dischi volanti”.
«Mi è difficile, quasi mezzo secolo dopo, ricordare nitidamente la conversazione. Ma il nocciolo della questione lo ricordo bene. Claudio Pica da Trastevere era sì furibondo; ma soprattutto ferito dal mio riferimento ai gemelli “grossi come dischi volanti”.
La sua discografia è sconfinata. Riletta oggi, sembra il repertorio completo della canzonetta tradizionale italiana, e forse lo è. Basti l’elenco delle “serenate” incise, tutte rigorosamente a 45 giri:, fece migliaia di concerti. Ebbe una popolarità immensa a partire dal primo Dopoguerra.
«Non me ne frega niente se non ti piace come canto. Ma non ti perdono di avermi preso per il culo per i gemelli d’oro. Io sono uno del popolo, e l’che ho i gemelli d’oro, tu mi metti contro il popolo. Non mi va di passare per uno che vive nel lusso, anche perché non è vero. Mi ero messo elegante per la conferenza stampa, perché ho rispetto dei giornalisti. Tu invece non hai avuto rispetto per me».
L’idea di popolo alla quale si atteneva Villa era virtuosa, forse già allora surclassata dalla realtà , un’idea integra e semplice, ingenua quanto si vuole: eppure, mezzo secolo fa, ancora rivendicabile in opposizione al lusso, agli eccessi, alla perdita di misura, e perfino in opposizione all’ingiustizia.
“Popolo” non significa più ciò che già in quel 1980 era molto azzardato sperare che significasse. Il muratore in canottiera che cantava Claudio Villa con il cappello di carta giornale sulla testa, il garzone in bicicletta, la portinaia che passa lo straccio nelle scale, la sartina che rammenda, i “poveri ma belli” del neorealismo più edulcorato, erano stati italiani in carne e ossa.
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