Un'analisi approfondita del contesto sociale italiano, evidenziando la crescente tendenza all'organizzazione di manifestazioni di protesta che, pur presentate come spontanee, nascondono una matrice più complessa e pericolosa. L'articolo sottolinea come il caos sia orchestrato da soggetti con precedenti, influenzati da ideologie radicali e alimentati da un clima di ostilità verso le istituzioni.
Aveva ragione Libero: erano «spintanei», non spontanei. Vi ricordate invece le giaculatorie – in tv e sui giornali – dei migliori cervelli della sinistra sulle manifestazioni dello scorso weekend teoricamente organizzate in memoria del povero Ramy? La tesi dei progressisti era: sono manifestazioni largamente spontanee, bisogna ascoltare «questi ragazzi», occorre capire il disagio, e via sottovalutando -giustificando -coccolando.
Al punto che, dopo il gran caos avvenuto a Bologna, il sindaco piddino era arrivato ad invitare i manifestanti a un «dialogo» al quale di tutta evidenza i facinorosi avevano mostrato di non essere interessati. Ecco, il tempo è galantuomo. Come il nostro giornale vi racconta oggi, viene fuori che la stragrande maggioranza dei soggetti identificati in occasione dei pesantissimi disordini di Roma avevano precedenti, per lo più del medesimo tipo. La puntuale cronaca di Pietro De Leo vi spiega tutto molto bene.E allora che conclusione se ne trae? Altro che “spontaneità”, altro che disagio da ascoltare, altro che manifestazioni spuntate all’improvviso. Abbiamo e avremo sempre più a che fare – nelle prossime settimane e mesi – con veri e propri professionisti del caos. Di più, dovremo misurarci con una saldatura pericolosa: spezzoni di immigrazione fuori controllo, una galassia di soggetti islamici se non radicalizzati quanto meno rabbiosi e carichi di immotivato rancore verso il paese che li ospita, più un sentimento di velenosa ostilità contro polizia e carabinieri. E naturalmente – come truppe già schierate sul campo – ci sono i soliti mestieranti della rissa urbana, tra centri sociali, collettivi rossi e agitatori sparsi, in cerca soltanto di un innesco per scatenare la violenza.Capite bene che la sorte di Ramy, a questo punto, è stata solo un pretesto. Vorremmo dire: il pretesto della settimana passata, al quale faranno seguire altri pretesti futuri di diversa entità. Tutto fa e farà brodo: un incidente (dovuto – è bene ribadirlo – alla scelta dei due fuggitivi di non fermarsi allo stop dei carabinieri), oppure l’iter parlamentare del ddl sicurezza, oppure un altro provvedimento del governo. Tutto potrà essere strumentalizzato per organizzare (se va bene) piazzate e chiassate, e (se va male) qualcosa di peggio. Obiettivo? Non occorre essere campioni di scacchi per stare già una o due mosse avanti: c’è chi spera che, tra decine e decine di occasioni di contatto fisico tra manifestanti e forze dell’ordine, possa determinarsi un incidente plateale. Sono già tutti pronti – in Parlamento, in più di qualche redazione, in molti studi televisivi – a organizzare la grande strumentalizzazione, a scagliare qualunque cosa (perfino, cinicamente, un cadavere) contro gli avversari politici.È venuto il momento di dire che non si può essere sorpresi o distratti davanti a un’eventualità di questo tipo. La natura e gli ingredienti tossici del cocktail che si va irresponsabilmente componendo sono chiari da mesi. Eppure – da troppe parti – non è mancato chi si è prestato a fare da utile idiota, da agitatore troppo ingenuo (o troppo furbo). È stato forse saggio – da parte del capo della Cgil – passare lo scorso autunno a straparlare di “rivolta sociale”? È stato intelligente, da parte della sinistra politica-culturale-mediatica offrire legittimazione e giustificazioni a chi in piazza cominciava a fare l’osceno gesto della P38? È stato prudente, da parte di non poche amministrazioni locali rosse, trattare in guanti bianchi collettivi e centri sociali? La risposta è un secco «no». Sarebbe il caso di fermarsi, prima che diventi troppo tardi
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