Anche se la parola d’ordine di tutti i candidati è “cambiamento”, in Libano alle elezioni legislative del 15 maggio rischiano di vincere i soliti politici corrotti responsabili del tracollo finanziario del paese. L'articolo dell'Economist.
Un modo per prevedere il futuro in Libano è guardare i manifesti elettorali e immaginare il contrario. L’ultima volta che gli elettori hanno scelto un parlamento, nel 2018, le strade del paese erano piene di messaggi gioiosi. “Il nostro porto arriverà”, c’era scritto su uno in riferimento a un porto turistico che avrebbe dovuto attirare le navi da crociera e dare slancio all’economia.
Questa situazione affonda le sue radici nel 2019, quando è stata svelata una truffa di stato messa su per supportare un sistema di cambio fisso e saldare enormi deficit fiscali e commerciali. Ma la crisi ha origini molto più lontane. La classe politica arrivata al potere dopo la guerra civile finita nel 1990 ha costruito un apparato corrotto e incapace.
Il gruppo di tecnocrati Beirut Madinati ha undici candidati nella capitale, e spera di approfittare della rabbia popolare esplosa dopo l’esplosione del porto nel 2020. Provocata da migliaia di tonnellate di nitrato di ammonio immagazzinato in modo inadeguato per anni, l’esplosione ha ucciso almeno 218 persone, devastando gran parte del centro della città. Nessuna persona al potere è stata punita. I politici hanno fatto di tutto per ostacolare le indagini ufficiali.
Anche l’opposizione ha commesso degli errori. Il più grave è stato quello di non presentarsi in una formazione unitaria. Charbel Nahas, un ex ministro di sinistra, ha sostenuto tanti candidati. Nella maggior parte delle aree però sono candidati non solo contro i vecchi partiti del sistema, ma anche contro una o due altre liste “alternative”.
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