Alois Brunner, responsabile della deportazione ad Auschwitz di migliaia di ebrei, ha vissuto più di quarant’anni in Siria. E ha avuto un ruolo nella creazione dei servizi di sicurezza del regime degli Assad. Dall’archivio di Internazionale. Leggi
Serge Klarsfeld ha otto anni quando la Gestapo bussa alla sua porta. Siamo a Nizza nel settembre del 1943. Stretto alla madre e alla sorella nel doppio fondo di un armadio, sente suo padre aprire la porta ai tedeschi. Non vede nulla, percepisce delle voci. “Devo aver sentito quella di Alois Brunner . Era il suo commando, lui veniva di persona ad arrestare la gente”. Alois Brunner manda il padre di Serge Klarsfeld nel campo di concentramento di Drancy, in Francia, e poi ad Auschwitz .
Sempre nel 1961 il braccio destro di Eichmann perde un occhio ritirando un pacco bomba alle poste di Damasco. Brunner capisce di essere stato “localizzato”. Il primo paese a farsi avanti è l’Austria, che inoltra una richiesta ufficiale di estradizione. Le potenze del dopoguerra ormai sanno che il nazista vive sotto copertura in Siria.Il patto tra Brunner e lo stato siriano risale formalmente al 1966.
Per trent’anni la macchina del terrore e del segreto non ha smesso di perfezionarsi. Presente a ogni livello del potere, controlla tutto ino ai minimi particolari della vita quotidiana. In una serie di interviste esclusive, tre siriani che lavoravano nelle unità segrete incaricate di proteggere l’ex nazista a Damasco rompono questa cappa di silenzio. Uno di loro parla a viso scoperto, gli altri due sotto pseudonimo. I loro racconti, terribili e sconvolgenti, concordano nei minimi particolari.
Il tè arriva dopo il cafè beduino. Abu Yaman ci chiede se siamo stanchi, se abbiamo fame. Rispondiamo di no. Sorride e si siede a gambe incrociate davanti a un grande quaderno ad anelli: “Quando ho saputo che sareste venuti ho raccolto i miei ricordi in questo quaderno per non dimenticare nulla”.Abu Yaman accetta di registrare l’intervista e di usare il suo vero nome, cosa che ormai in Siria non è disposto a fare più nessuno. Abu Yaman è il suo nome tradizionale.
“Durante i miei primi sei mesi di servizio, gli permettevano di andare a fare la spesa nel quartiere di Shaalan, a cinquecento metri da casa. Lo accompagnavamo in quattro o cinque, seguendolo a distanza per non dare nell’occhio. Nella zona non c’erano molti stranieri. Ma con i suoi occhiali scuri Abu Hossein non sembrava un tedesco. Nessuno si stupiva vedendolo”.All’inizio del 1989 i servizi segreti rafforzano le misure di protezione del loro dipendente.
Stiamo parlando da ore, la stanza comincia a riempirsi dei profumi della cucina. Mangiamo. Abu Yaman rifiuta le visite abituali. I bicchieri si riempiono di tè. Il racconto riprende: “Un giorno Abu Hossein mi disse di aver ucciso venticinquemila ebrei francesi. Avevo capito che era una persona malvagia, ma che potevo farci? Nulla”, mormora, sinceramente dispiaciuto. Quando arriva internet in Siria, Abu Yaman va in un cafè per connettersi alla rete.
Tutti guardano queste immagini, anche i bambini. È impossibile sapere se sono vere, ma la loro diffusione rivela il grado di morbosità raggiunto in Siria, un paese dov’è normale che un gruppo di amici sorridenti si faccia un selfie sotto un cielo inondato di bombe al fosforo. “La ringrazio, signora. Dica al suo capo che prego per lui ma che non ho intenzione di andare in Svizzera”.
La stampa reagisce cercando di trovare dei dettagli sulla tranquilla esistenza del dottor Fischer. Il settimanale tedesco Bunte riesce a fotografarlo nel 1985 a Tartus, una città di mare siriana. Lo scatto ritrae un uomo calvo con gli occhiali da sole e una camicetta a righe, che apre la bocca e allarga le braccia come se stesse raccontando una storia. Gli mancano tre dita alla mano sinistra.
A Damasco i servizi siriani sono in allerta. “Ce la siamo vista brutta dopo quella vicenda!”, esclama Abu Raad. Per ricordare a tutte le guardie l’importanza della loro missione, una copia del giornale con la foto di Brunner è tenuta in bella mostra. “Quando ricevevamo gli ordini, ce la sventolavano sotto il naso dicendoci di non essere stupidi come le due guardie che l’avevano fatto finire in prima pagina”, precisa Abu Yaman.
Per le schegge lasciate dai due pacchi bomba, il primo nel 1961 e il secondo nel 1980, Brunner ha un rimedio a base di olio, salsa chili e mostarda: “Faceva bollire la pozione e l’applicava dove gli faceva male. Sulla pelle metteva anche iodio e vino”Una coalizione di forze ribelli ha conquistato Damasco e ha cacciato il dittatore.
I conigli non mangiano pane, e infatti il nazista va su tutte le furie e insulta la guardia dandogli del!’. Ah ah, ho trascorso diciotto anni con lui e giuro davanti a Dio che lo rispettavo! Credo perfino che fossimo amici”.e lui mi apriva la porta. Ero l’unico che aveva il diritto di pisciare nel suo appartamento”. È molto fiero. Abu Yaman conferma: “È vero! Le guardie chiedevano sempre d’installare i gabinetti sul tetto”.
La storia della lavanderia è confermata dal comandante Philippe Mathy, che ha indagato per anni sui criminali nazisti in fuga. Mathy viene a conoscenza dello “stiratore di Damasco” grazie a un giornalista della Kronen Zeitung: “Quel giornalista aveva incontrato un casco blu austriaco che aveva incrociato Brunner in una lavanderia di Damasco e l’aveva immediatamente riconosciuto”. Abu Raad fa il prezioso.
In quel periodo, alla ine degli anni novanta, il comandante Philippe Mathy identifica un amico intimo di Brunner: il nazista Otto Ernst Remer, che si gode la vita in una villa piena di fiori sul mare a Marbella, sulla costa spagnola. “Non era cambiato”, racconta Mathy, che interrogò l’ex nazista in un salotto pieno di pile del suo libro, non molto venduto. Sulla copertina c’era Remer che, giovane ufficiale, stringeva la mano di Hitler.“Otto Remer era molto nervoso. Aveva un tono glaciale.
S’inchina per un’ultima preghiera, ci guarda portandosi una mano al cuore e pronuncia l’unica frase che conosce in inglese: “”. Poi in arabo, senza sapere che abbiamo registrato tutto: “Non vi dirò nulla, ma se parlassi potreste riempire dieci pagine”. Abu Yaman chiama un taxi, accompagna Abu Raad e gli strappa la promessa di rivedersi. La macchina si allontana. Ci guardiamo in silenzio, abbastanza sfiniti.
La mano che colpiva portava un guanto bianco. “Era un sadico, il più crudele di tutti. Nel dicembre del 1942 l’ho visto gettare secchiate di acqua gelida su un gruppo di donne anziane”, racconta nel 1945 la superstite Regine Wiener. Un altro sopravvissuto ai campi, Serge Smulevic, descrive il suo incontro con Brunner il 17 dicembre 1943: “Abbiamo appena lasciato Drancy e siamo allineati su un binario della stazione di Bobigny.
Hafez al Assad reclutò Alois Brunner per sfruttare le sue capacità di amministratore-torturatore? Le guardie del corpo parlano del dottor Fischer come di un “professore”. “Al suo arrivo in Siria, andò direttamente da Hafez al Assad presentandosi come un uomo vicino a Hitler. E così Assad lo nominò suo consigliere. Fu mandato a Wadi Barada, una base dei servizi segreti. Lì addestrò tutti i capi”.
Alcuni telegrammi diplomatici desecretati dalla Cia lo confermano. Nel 1984 l’ambasciatore statunitense a Damasco, William Eagleton, scrive al segretario di stato George Shultz per informarlo che Brunner si trova effettivamente in Siria, dove addestra i guerriglieri curdi contro la Turchia. Al telefono, Omar va dritto al punto: “Ascolta, fratello, io ero presente. Sono sicuro al cento per cento che era il 2001. C’è stata perfino una cena funebre organizzata da quelli della sezione 300 ad Al Muhajerin, davanti alla moschea Al Murabit a Damasco”.
La tensione sale. Omar dice di avere paura. Con voce calma, Abu Yaman gli risponde di non preoccuparsi, la conversazione è criptata. “Che Dio ti ascolti! Questa telefonata non mi piace”. Abu Yaman mormora che era la sezione 251. Alzando la voce, chiede di punto in bianco al suo interlocutore come è morto Brunner. “Era molto stanco, molto malato. Soffriva e gridava spesso, lo sentivano tutti. Solo le guardie potevano parlargli. Non era tra le mie mansioni, non potevo neanche guardarlo. L’ho visto una volta, il giorno in cui le guardie hanno aperto la porta per disinfestare la stanza dagli insetti. Era alto e calvo, aveva almeno ottant’anni”.
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