Il nostro tempo: CinéFondationCartier esplora l'arte del cinema

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Il nostro tempo: CinéFondationCartier esplora l'arte del cinema
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La mostra 'Il nostro tempo' alla Triennale di Milano, curata da Chiara Agradi, presenta un percorso attraverso dodici progetti di artisti e registi internazionali che esplorano l'evoluzione e il potenziale del cinema come forma d'arte. Attraverso un allestimento innovativo che trasforma l'esperienza museale in un viaggio cinematografico, la mostra offre un'occasione per riflettere sul ruolo del cinema nella società contemporanea.

Il nostro tempo CinéFondationCartier è una mostra di film e video art che ridefinisce l'arte. Si annuncia periodicamente una futura scomparsa apocalittica dei cinema, ma si ha l'impressione che invece al cinema ci stiamo tornando tutti, stanchi di vedere film da soli su schermi sempre più piccoli. Mi sembra che il cinema, inteso come linguaggio, strumento e canale espressivo, si stia espandendo, conquistando nuovi spazi di fruizione, soprattutto i musei e i luoghi espositivi.

Se già negli anni Settanta grandi televisori erano inclusi in rassegne e mostre collettivi, oggi si entra in una mostra e si trova in un cinema, dove vedere film d'artista o di registi che sperimentano fuori dai tradizionali circuiti, documentari, corti o lungometraggi straordinariamente lunghi. È il caso della mostra Il nostro tempo CinéFondationCartier, attualmente in corso in Triennale e visitabile fino al 16 marzo, ultimo capitolo della proficua collaborazione dell'istituzione milanese con Fondation Cartier pour l’art contemporain. È completamente costruita da film. Corti, lunghi, a colori o in bianco e nero, documentari, fiction o montaggi di immagini d'archivio. Art film? Oggi è così che si identificano quei film concepiti e prodotti per entrare nel circuito espositivo dei musei e delle altre strutture del mondo dell’arte, invece che nelle sale dei cinema. Nel passato un film che nasceva al di fuori delle dinamiche di finanziamento e distribuzione del cinema tradizionale era un progetto indipendente, sperimentale: talvolta, nelle mostre e nelle rassegne contemporanee, queste categorie si mescolano, perché spesso il mondo dell’arte ha provato ad accogliere formati cinematografici e soggetti che i canali tradizionali del cinema non riuscivano a mandare in circolo. Ma come si visita una mostra di film? Considerate che è molto più riposante fisicamente: starete perlopiù seduti. L’allestimento di Il nostro tempo, curato dallo studio bunker arc di Milano, è straordinariamente efficace. Ogni film ha la sua saletta, il suo cinema privato, concepito specificatamente per la sua fruizione. Così noi visitatori ci muoviamo da una bolla all’altra, coccolati dalla moquette e da divani eleganti, in velluto. È tutto morbido come le pareti insonorizzanti ricoperte di gommapiuma. Che cosa racconta la mostra Arriviamo al punto: cosa racconta questa mostra? Dodici artisti e registi contemporanei, spesso vecchie conoscenze della Fondation, sono stati riuniti dalla curatrice Chiara Agradi. Si tratta di Gabriela Carneiro da Cuha e Eryk Rocha, Raymond Depardon e Claudine Nougaret, Paz Encina, Morzaniel Ɨramari, PARKing CHANce, Artavazd Pelechian, Andrei Ujica, Agnès Varda, Jonathan Vinel e Wang Bing. Ognuno di loro propone un progetto che racconta un pezzettino della storia presente del mondo e viene valorizzato dalla selezione in questa collettiva sì per il suo contenuto ma anche per la tecnica, il montaggio, le sue qualità estetiche. Ci si confronta così un’esperienza alternativa di fruizione dell’immagine cinematografica. C’è la Storia con la S maiuscola, ci sono le invenzioni, le guerre, la produzione industriale, ma anche un racconto delle nascite, di miti antichissimi, di foreste, di magie e sciamanesimi che pur nelle loro differenze culturali e locali, sembrano unire tutto il mondo. Jonathan Vinel si confronta con il linguaggio dei videogiochi per raccontare, in Martin Pleure, un mondo distopico in cui il protagonista si ritrova improvvisamente senza più nessuno dei suoi amici. Wang Bing ci invita a seguire minuto dopo minuto per 15 ore la giornata lavorativa delle operaie e degli operai di Zhili, nella provincia di Zhejiang, dove viene realizzato l’80% della produzione cinese di abbigliamento per bambini. Con un sofisticato e dinamico montaggio di materiali filmici d’archivio, che strizza forse l’occhio al cinema delle origini, Artavzad Pelechian ci racconta il Novecento come un tempo scandito dalle grandi invenzioni tecniche e scientifiche. Si viene portati negli angoli più remoti del mondo, seguendo rituali magici e sciamanici filmati in Amazzonia brasiliana da Eryk Rocha e Gabriela Carneiro da Cuha in A Queda do Céu, la caduta del cielo. Il fotografo e regista Raymond Depardon, insieme a Claudine Nougaret, propone un viaggio nella matematica, attraverso il montaggio di diverse interviste a studiosi: serissimo eppure inevitabilmente divertente. Proseguendo verso la fine del percorso il tono sembra farsi più romantico, con El aroma del viento di Paz Encina, dove filmati in super 8 della sua infanzia di sovrappongono a visioni arboree delle foreste del Paraguay

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