Vent’anni fa, per fermare il dilagare della tossicodipendenza, il Portogallo ha depenalizzato l’uso personale di stupefacenti. Oggi il successo di questa strategia è studiato in tutto il mondo. L'articolo di Duży Format, dall'archivio di Internazionale.
La commissione per la dissuasione lavora soprattutto di lunedì. Quel giorno sono in molti a bussare alla sua porta: un adolescente beccato venerdì a fumarsi una canna davanti a scuola, un ragazzo sulla trentina che sabato ha partecipato a una rissa in un bar , un turista sorpreso a fumare hashish per strada domenica sera. A ognuno di loro un poliziotto ha lasciato un foglietto con l’indirizzo di un palazzo bianco nel centro di Lisbona.
Mi mostra anche un’altra foto, scattata nello stesso ufficio in cui ci troviamo. È in piedi con un uomo sorridente di circa quarant’anni. Una persona che molti anni prima ha aiutato a liberarsi dall’eroina. “È venuto un paio d’anni fa per ringraziarmi”, racconta Goulão. Ma un giorno il centro per il trattamento delle dipendenze Taipas di Lisbona, aperto alla fine degli anni ottanta dal ministero della salute, ha scoperto questo medico del sud così apprezzato dai pazienti. È stato invitato a svolgere un tirocinio, e poi incaricato di dirigere un centro simile nell’Algarve. Con il tempo è diventato il direttore dell’intera rete portoghese dei centri per il trattamento delle tossicodipendenze.
“La nostra idea è nata dalla disperazione. Se il fenomeno avesse riguardato solo gli emarginati, probabilmente non sarebbe importato a nessuno”, ammette il medico. “Ma riguardava i nostri figli e le nostre figlie, i cugini, i vicini di casa. Non c’era praticamente famiglia che non fosse colpita”. “Al liceo fumare erba o hashish era un comportamento moderatamente stigmatizzato. Un po’ come fumare le sigarette. Solo quando qualcuno trascurava lo studio gli insegnanti intervenivano. Di solito ti dicevano che anche loro erano stati giovani e ti mettevano in guardia dai rischi”, ricorda Luis. “Non ho mai avuto problemi con la polizia. È arrivata un paio di volte mentre mi fumavo una canna con gli amici. Mi hanno chiesto se andava tutto bene ed è finita lì”.
“È un lavoro senza fine. Più ne arresti più ne spuntano”, dice con un sospiro Nélson Silva. Lavora alla polizia di Lisbona da vent’anni e dà la caccia a spacciatori e trafficanti. Silva fa svuotare le tasche alla gente solo quando ha un valido motivo per farlo. Per esempio quando vede che qualcuno consuma della droga per strada o la sta comprando da uno spacciatore. Quando trova degli stupefacenti li confisca e li pesa.
Ultimamente i membri delle commissioni si sentono un po’ sotto pressione per l’interesse internazionale. Nei giorni precedenti Capaz ha parlato su Zoom con un dottorando statunitense e ha ricevuto la visita di uno studente olandese. “Devo ammettere che mi sento un po’ come una cavia da laboratorio. Prima tutti sono rimasti a guardare, e quando abbiamo avuto successo hanno cercato di capire come diavolo avevamo fatto”, dice sospirando.
Capaz elenca questi esempi per sottolineare che il suo lavoro consiste nel concentrarsi sulle persone e non sulle sostanze che assumono. Allo sfortunato ventitreenne si limita a spiegare che è molto facile diventare dipendenti e che depenalizzazione non significa legalizzazione. “È una specie di cartellino giallo”, dice Capaz. “Conserviamo le loro schede per cinque anni.
Prima di partire per il loro giro quotidiano caricano decine di pacchetti sul furgone. In ognuno c’è una siringa, acido citrico per sciogliere l’eroina, salviette disinfettanti e preservativi. Nel bagagliaio gettano anche delle confezioni di cannucce di vetro per fumare il crack, oltre a delle pinze lunghe un metro e a un contenitore che usano per raccogliere gli aghi trovati per strada.
Una donna sui cinquant’anni si avvicina al furgone. Beve l’acqua che le offrono Vera e Solange, ma non dice quasi niente. Ha lo sguardo perso nel vuoto. “Vorremmo sapere da cosa stai scappando, forse possiamo aiutarti”, la incoraggiano, ma la donna comincia a piangere. “Non riesco a smettere. È da un anno che ho ricominciato a bucarmi”. Le lasciano il numero di telefono. Se ha bisogno di qualcosa può chiamare quando vuole.
I senzatetto con tossicodipendenze vengono aiutati da organizzazioni non governative come Crescer, anche attraverso 340 appartamenti sparsi in tutta la capitale. Sono affittati sul mercato privato, ma con il sostegno economico del comune. Nella piccola cucina le pentole fumano. Le ricette sono scritte a pennarello sui muri: dopo anni di tossicodipendenza, alcuni lavoratori hanno problemi di memoria.
Le persone possono anche mentire, ma le fogne non nascondono la verità. Per esempio il fatto che tra le città europee in cui le acque reflue si analizzano in questo modo, da anni Lisbona non è più una di quelle con la presenza di stupefacenti più elevata. A vent’anni dalla depenalizzazione, in Portogallo i livelli di consumo di droga e di infezione da hiv sono scesi sotto la media europea.
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