L'articolo analizza la deteriorazione della situazione internazionale con l'influenza crescente di Donald Trump e la crescente debolezza dell'Europa. Il confronto con la Conferenza di Monaco del 1938 evidenzia come la passività e l'indecisione degli stati europei possano portare a conseguenze tragiche.
Per carità, lasciamo stare la Conferenza di Monaco. Quel summit di fine settembre del 1938, che consegnò la Cecoslovacchia a Adolf Hitler in cambio di una «pace» alquanto illusoria, ebbe quantomeno una sua dignità. È possibile che personaggi del calibro di Édouard Daladier e Neville Chamberlain non fossero del tutto consapevoli dell’errore che stavano compiendo. Lo stesso Benito Mussolini cercò di ritagliarsi un ruolo distinto da quello di Hitler.
Adesso invece, a seguito della telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin, di dignitoso c’è assai poco. Il Presidente degli Stati Uniti appare deciso ad infierire contro Volodymyr Zelensky trattato come un postulante da tenere fuori dalla porta. E che, quando verrà il momento, dovrà pagare, per l’aiuto ricevuto, un lauto compenso in «terre rare». Poi verrà cacciato in malo modo. Per gli europei sarà leggermente diverso. Considerati chiacchieroni e inconcludenti, per di più accusati di essersi pomposamente accodati a Joe Biden, verranno comprati, al momento opportuno, con qualche dazio in meno. Magari ci sarà qualche «terra rara» anche per qualcuno di loro. Qualora se ne avverta il bisogno. Ma forse non sarà necessario neanche quello. Al momento gli statisti d’Europa chiedono solo di essere fatti accomodare al tavolo delle trattative. Verranno accontentati, a giochi ben definiti, con qualche strapuntino aggiunto in extremis. Ma in modo da sottolineare bene la loro irrilevanza.Del resto, sono anni che blaterano di «esercito europeo» senza fare un solo passo avanti per dar vita a qualcosa del genere. Si sono riempiti la bocca di parole altisonanti ma poi hanno regolarmente gareggiato con Biden nel consegnare in ritardo gli aiuti all’Ucraina. Sono stati generosi di «missioni» a Kiev ma al dunque hanno sempre cercato pretesti per non pagare la dovuta quota in tutto ciò che riguarda gli armamenti. E adesso appaiono terrorizzati alla sola idea di doversi sostituire agli americani nel sostegno a Kiev. Soprattutto quando si accenna a una forza di interposizione per un confine lungo oltre mille chilometri. Forza di interposizione per la quale Washington ha già annunciato che non manderà neanche un soldato. Ed è probabile che, visti i precedenti, quel contingente militare, prima o poi, sarà costretto ad impegnarsi in combattimenti. Ovviamente questo discorso non riguarda i leader dei Paesi che confinano con la Russia o che temono di essere investiti dall’onda putiniana. Onda che, Nato o non Nato, puntualmente troverà il modo di investire l’Europa del Nord. Loro sì che si rendono conto di quel che accadrà di qui a qualche anno. Alcuni perché non hanno dimenticato le passate esperienze di quando la Russia si presentava sotto le bandiere dell’Urss. Bizzarro che a fare da cavallo di Troia adesso non saranno i partiti neocomunisti ridotti al lume di candela ma quelli di estrema destra o addirittura neonazisti. E i leader della sinistra moderata si guarderanno bene da alzare la voce per paura di veder compromesso il loro futuro da qualche colpo di fiocina proveniente dal mondo «pacifista» ben piazzato alle loro spalle. Per quel che riguarda l’Italia si distingue da questo clima di resa generalizzata il capo dello Stato Sergio Mattarella. Lo fa ogni volta che può e (dopo le offese che per questo ha dovuto subire) la storia gliene darà atto. Altri, che gli furono a suo tempo compagni di strada, da qualche mese si sono distratti, si occupano d’altro. La sinistra «responsabile», con qualche eccezione, pronuncia parole vuote per i motivi di cui si è detto. Sui giornali si è avvertito qualche allarme nell’editoriale di Paolo Valentino pubblicato ieri su queste pagine. E, gradita sorpresa, là dove non ce lo aspettavamo, su «Avvenire», il giornale dei vescovi, a firma di Giorgio Ferrari. A destra si assiste ad una gustosa gara a mettersi in luce con i sottopancia di Trump. In molti raccontano di aver ricevuto complimenti dall’amministrazione statunitense per la loro capacità di tenere il piede in due scarpe. Ma autentici «titoli di nobiltà» li avrebbero solo gli eredi di Silvio Berlusconi per la indimenticabile allocuzione filo putiniana del cavaliere pronunciata a Napoli davanti a «Cicciotto a Marechiaro» (20 maggio 2022). E avrebbero «titoli» i compagni di avventura di Matteo Salvini per il suo prolungato «entra e esci» dall’ambasciata russa ai tempi in cui a villa Abamelek regnava Sergey Razov. Forse li avrebbe anche l’ex Presidente della Rai Marcello Foa, appena designato nel cda della Scala.Oltre, naturalmente, a Giuseppe Conte ben collocato, dalla fine dello scorso decennio, a metà strada tra Trump e Putin (anche se ha da farsi perdonare qualche voto del M5S in Parlamento a favore delle armi a Zelensky).
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