Un'analisi del dibattito sul ritorno di materie classicamente umanistiche nella scuola italiana, esplorando sia i potenziali benefici che le possibili critiche.
Dimentichiamo per un attimo l'inutilità pratica di questo dibattito, dal momento che in Italia qualunque riforma scolastica, umanistica o scientifica, conservatrice o progressista, è destinata a scontrarsi con le disfunzioni di un sistema soffocato dalla burocrazia e affidato alla buona volontà di insegnanti sottopagati.
Ma di per sé non c'è nulla di male nel far studiare la Bibbia e la storia dell'Occidente fin dalle elementari, o nel reinserire un'ora facoltativa di latino alle medie, come annunciato dal ministro dell'Istruzione. Un albero non cresce senza le radici — le nostre sono Omero e la Bibbia — ed è importante saper distinguere Alessandro Magno da Carlomagno, altrimenti si sarà indotti a pensare che sia tutto un magna-magna. Quanto al latino, è come la cyclette, che sembra una fatica inutile perché pedali e resti fermo, mentre in realtà ti stai facendo i muscoli con cui potrai scalare qualsiasi montagna. Certo, il pacchetto Bibbia-Occidente-latino rivela un progetto ideologico. Il tentativo di opporsi a una scuola globalizzata che, in nome dell'inclusione, finisca per allevare degli apolidi privi di un'identità definita e di una memoria condivisa. Però bisogna intendersi: sapere chi sei è un bene, se ti aiuta a incontrare gli altri con meno paura. Non se diventa un'arma per contrapporti o un pretesto per isolarti. Da che mondo è mondo, chiudersi peggiora le cose; è aprirsi che le migliora. Lo testimonia la storia dell'Occidente e lo scrivevano già Seneca e Marco Aurelio. In latino
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