L'articolo esplora le politiche chiave che caratterizzeranno il secondo mandato di Donald Trump, concentrandosi su temi come i dazi, le criptovalute, l'approccio 'America First' alla politica estera e la gestione del conflitto ucraino. Si analizza anche il possibile impatto economico e ambientale di tali politiche.
Il dossier migranti è quello che gli sta più a cuore e sul quale non può fare grandi passi indietro perché è il tasto per il quale il suo elettorato mostra di avere più sensibilità. Di qui lo spazio dedicato nel discorso di insediamento e gli ordini esecutivi di ieri. Ma nell’agenda di Trump ci sono anche altre priorità.
Trump ha promesso dazi al 10 o 20% su tutto ciò che entra in America (anche dall’Europa), al 60% sulle importazioni dalla Cina e al 25% su Messico e Canada (i mercati più integrati con quello statunitense) e sostiene che non ci saranno effetti sui prezzi portando come prova l’esperienza del suo primo mandato quando non ci fu alcuno choc inflazionistico. Ma allora i dazi furono limitati come entità e concentrati soprattutto su settori considerati strategici (acciaio, alluminio) e, in un’economia che faticava a uscire dalla Grande recessione, i rischi di fiammate dei prezzi erano limitati. Oggi l’economia è in espansione sostenuta e i balzelli minacciati sono enormi. Ma lo stato d’animo generale resta ottimista: sono in molti a pensare che Trump, che non manca di sensibilità economica, doserà gli interventi tanto in materia di dazi quanto nelle espulsioni, in modo da minimizzare i rischi di instabilità. È probabile che l’indiscrezione pubblicata qualche giorno fa — i tecnici studiano dazi limitati a pochi settori strategici dell’economia proprio per evitare di rendere ancor più costosa la spesa degli americani — siano, in realtà, fondati. Gli ottimisti sperano che i danni procurati all’economia da dazi ed espulsioni di lavoratori stranieri, se ce ne saranno, vengano più che compensati dagli effetti espansivi della manovra di Trump in materia di tributi e di regole. Lo stimolo fiscale dovrebbe venire dalla conferma dei massicci sgravi concessi dallo stesso Trump nel suo primo mandato e in scadenza l’anno prossimo e da un’ulteriore riduzione della tassa sulle imprese dall’attuale 21 al 15%. Quanto alla deregulation, con l’eliminazione dei vincoli ambientali sarà più facile per le imprese produrre (e inquinare). Una spinta particolare verrà dal via libera all’estrazione di petrolio e gas anche offshore e in molte aree protette. Nel lungo periodo queste politiche potrebbero creare problemi sempre più gravi di sostenibilità ambientale e di tenuta del sistema finanziario a fronte di un debito pubblico, già ampiamente sopra il 100% del Pil, che potrebbe diventare ingovernabile. Il deficit annuo federale (che in Italia abbiamo contenuto al 3% del reddito nazionale) potrebbe salire nel 2035 al 12% del Pil con un debito federale al 150%. Con il dipartimento dell’Efficienza (Doge) Musk conta di tagliare 2.000 miliardi di dollari di spesa federale, rivoluzionando gli assetti della macchina amministrativa: obiettivo impossibile da raggiungere, visto che l’80% degli esborsi riguardano aree «intoccabili»: pensioni, sanità, difesa, pagamento degli interessi sul debito federale, trasferimenti ai vari Stati dell’Unione. Restano 1100 miliardi di spese «disponibili», ma anche qui ci sono molte aree nelle quali non è politicamente possibile fare tagli. Musk ha ridimensionato le attese: «Sarebbe già rivoluzionario tagliare mille miliardi». C’è, poi, la rivoluzione delle criptovalute. Fin qui tenuto a freno dall’amministrazione Biden nel timore di abusi ed effetti destabilizzanti, il denaro virtuale sembra destinato ad esplodere nell’era Trump che lo ha abbracciato fino a dichiararsi il primo criptopresidente della Storia. E, già che le promuove, perché non beneficiare anche personalmente di queste criptovalute? Ne è stata appena messa sul mercato una col volto di The Donald il cui valore si è moltiplicato in poche ore di molte volte. E ieri è stata emessa quella di Melania. L’approccio «America First» alla difesa e alla politica estera include la costruzione di uno scudo missilistico Iron Dome sugli Stati Uniti e assicurarsi che il Paese non resti coinvolto in guerre all’estero, ma nelle ultime settimane non ha voluto escludere l’uso della forza militare per conquistare la Groenlandia e riprendere il Canale di Panama. Nell’esercito Trump prenderà di mira i programmi che puntano alla diversità e all’inclusione e che la destra ascrive all’ideologia woke. Sull’Ucraina, Trump aveva detto in campagna elettorale che avrebbe risolto il conflitto nell’arco di 24 ore, Trump ha poi parlato di «sei mesi». Da un lato gli ucraini dovrebbero essere convinti a non cercare di riconquistare il 20% del Paese che hanno perduto in cambio di garanzie di sicurezza; dall’altro Putin dovrebbe garantire che non cercherà di invadere di nuovo. Il presidente ha rivendicato il merito della tregua tra Hamas e Israele, concepito da Biden ma portato a casa con il suo aiuto, e ha annunciato che intende «sfruttare lo slancio di questo cessate il fuoco per espandere gli storici Accordi di Abramo». Ma la normalizzazione di Israele con l’Arabia Saudita richiederà uno Stato palestinese che il premier israeliano Benjamin Netanyahu non ha accettat
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