“In carrozzina da quando ho cinque anni, sono chirurga e atleta paralimpica. Ho imparato che l’inclusività è avere tempo di capire”
, lavora al Centro traumatologico ortopedico di Torino, tra i più importanti d’Europa per la Chirurgia della mano. Per lei è tutto normale, anche se lo fa seduta su una. “Adesso c’è una fase in cui il disabile è un eroe. Io non la penso così e non mi piace che l’attenzione e il rispetto per una persona che ha qualche difficoltà in più nascano dai risultati o dalle medaglie che ottiene”.
Se per molti atleti lo sport aiuta a conoscere la propria disabilità, per Mijino è stato il contrario. Convive con la carrozzina dall’età die subito dopo il trauma non ha dovuto frequentare centri specializzati o affrontare lunghi percorsi fisioterapici, quindi non ha conosciuto molte altre persone disabili nella vita di tutti i giorni. Dopo un breve ricovero è tornata a casa, nel Piemonte valsusino.
Diventare un’atleta paralimpica, per Mijino, ha significato innanzitutto rapportarsi per la prima volta sistematicamente con altre persone con disabilità. “Quando ho iniziato a giocare nella Nazionale avevo già 20 anni, ho imparato a conoscere persone che avevano una disabilità come me ma con percorsi diversi dai miei, magari un incidente da grandi, alcuni avevano perso il lavoro o la famiglia a causa della loro condizione”.