Italia invecchia: il futuro del lavoro e la sfida demografica

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L'Italia sta vivendo un profondo cambiamento demografico con un drastico calo di giovani occupati e un aumento di lavoratori in età avanzata. Il rapporto del Cnel evidenzia questa situazione, sottolineando le conseguenze per l'economia e la società. Il testo esplora le cause di questa tendenza, i rischi per il sistema pensionistico e le possibili soluzioni per affrontare la sfida demografica.

In vent'anni l' Italia ha perso più di due milioni di giovani lavoratori. Il dato, allarmante, viene fornito dal rapporto del Cnel “ Demografia e forza lavoro ” che stima che le persone occupate con un’età compresa tra i 15 e i 34 anni sono passate dai 7,6 milioni del 2004 ai 5,4 milioni del 2024. Nello stesso periodo, però, sono aumentati i lavoratori in fascia 50-64 dai 4,5 milioni di vent'anni fa agli attuali 8,9.

“Vado fiera dei dati sull’economia – ha scritto sui social la presidente del Consiglio Giorgia Meloni – Abbiamo il tasso di occupazione più alto dalla Spedizione dei Mille”. Ed è vero, il numero di occupati non fa che crescere: attualmente sono oltre 24 milioni. Ma molti contratti restano sotto i trenta giorni, la forza lavoro è sempre più anziana, i salari crescono meno della media europea e l’occupazione femminile – pur in aumento – è anch’essa al di sotto degli standard Ue. “Sicuramente ha un impatto forte l’inverno demografico – commenta a Sky tg24 Insider Alessandro Rosina, consigliere del Cnel e curatore del rapporto – ma paghiamo anche i minori investimenti in innovazione, ricerca e sviluppo rispetto agli altri Stati membri dell’Ue”. Il mercato del lavoro sta cambiando. O, meglio, sta invecchiando. In numeri: l’indice di dipendenza degli anziani, ovvero il rapporto tra over-65 e popolazione in età attiva, ha già superato il 40% in Italia ed Eurostat ha previsto che, con questo andamento, nel 2070 sarà vicino al 66%. Cifre superiori alla media mondiale e a quella europea che supera il 30%. Mettendo poi in relazione chi è in pensione con la popolazione occupata, il quadro si fa ancora più grave: l’Italia porta un carico del 60% - in assoluto il peggiore in tutta Europa – che è destinato a crescere di altri venti punti percentuali entro il 2070 . L’altro lato della medaglia è che l’occupazione giovanile arranca. Il tasso di occupazione per la fascia 15-24 è più basso della media europea di 10 punti percentuali e di 15 punti tra i lavoratori in età compresa tra i 25 e i 34 anni. Il primo motivo è ovviamente la denatalità. La componente storicamente al centro della crescita economica italiana, ovvero la popolazione maschile tra i 35 e i 49 anni, è in crisi: dai 7 milioni del 2014 è passata agli attuali 5,7 milioni. E continuerà a ridursi. Ma uno squilibrio così profondo non si spiega, secondo il demografo consigliere del Cnel, solo seguendo l’andamento demografico. “Abbiamo tassi di occupazione troppo più bassi degli altri Paesi europei – commenta Rosina – Tutta la transizione scuola-lavoro è più debole nel nostro Paese: da un lato abbiamo una dispersione scolastica più alta degli altri Paesi europei e dall’altro abbiamo investito meno nei percorsi tecnico-professionali che sono quelli che consentono di formare i giovani anche in funzione delle competenze richieste dal mercato”. Sull’abbandono precoce da scuola, in realtà, l’Italia ha più che dimezzato il tasso in vent’anni , ma resta ancora ampio il divario nel numero dei laureati: solo il 20,3% della popolazione tra i 25 e i 64 anni ha ottenuto il titolo, contro il 42% della Spagna e il 34% della media Ue . Si aggiunga, a queste condizioni, che l’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani è ostacolato anche dal cosiddetto mismatch, ovvero la difficoltà a far incontrare domanda e offerta. “Gli altri Paesi – commenta Rosina – hanno più strumenti per combinare studenti e aziende. In Italia la debolezza del sistema di matching fa sì che i giovani trovino lavoro soprattutto attraverso i canali informali, conoscenze e segnalazioni, anziché attraverso canali formali di incontro efficace tra domanda e offerta”. Il ricambio generazionale, perciò, è rimandato: “Dobbiamo attendere 10 o 15 anni, ovvero quando chi ha 50-55 anni adesso andrà in pensione. Allora si ridurrà sensibilmente la popolazione in età lavorativa”. E a farne le spese sarà il sistema pensionistico. L’occupazione femminile versa in condizioni ben peggiori. La percentuale di lavoratrici nella fascia di età tra i 35 e i 49 anni si ferma al 65% circa, il livello più basso tra i Paesi Ue, inferiore alla media europea di 13 punti. Le cause, secondo il consigliere del Cnel, sono da cercare nelle misure di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro per la popolazione femminile. “In Europa hanno investito maggiormente nell’equiparazione tra congedo di maternità e di paternità – spiega Rosina – Le donne che vogliono avere figli in Italia più spesso si trovano a dover rinunciare al lavoro. In Europa si ricorre meno al part-time involontario, quindi imposto dall’azienda”. Il risultato è un circolo vizioso: “Ovviamente, disincentivandole al lavoro, le donne faranno meno figli. E con l’attuale tendenza alla denatalità gli occupati saranno sempre più anziani”. In questa lacuna il demografo vede un modo di “controbilanciare la situazione”

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