Un viaggio nel tempo per ricordare la squadra di Zdenek Zeman che, con un gruppo di sconosciuti, ha conquistato la Serie A e lasciò un segno indelebile nel calcio italiano.
All'alba degli anni '90 , una squadra di sconosciuti si affacciò sul palcoscenico del grande calcio italiano. Erano corpi estranei, figurine di seconda fascia, debuttanti allo sbaraglio, una pattuglia di bastardi senza gloria. E no, non li avevano visti arrivare. A guidarli un allenatore che fumava due pacchetti di Marlboro al giorno, il profilo da sciamano, il sorriso sornione, i lunghissimi silenzi, le frasi smozzicate.
Quando nella tarda primavera del 1991 il Foggia di Zdenek Zeman sbarcò non dalla luna, ma persino da più lontano - dal Sud dell'Italia - direttamente in Serie A, il pianeta-calcio fu scosso dal brivido di una novità. Nel ricordo di Giuseppe Fornaciari - scomparso in questi giorni a soli 57 anni - che di quel Foggia faceva parte, si vuole ricordare quella che venne presa per un'Armata Brancaleone e che invece si rivelò - e la storia di questi ultimi trenta e passa anni lo conferma - una delle rare e felici anomalie che il calcio italiano seppe produrre. Zeman, più di altri, si fece carico di un'utopia, indicò un orizzonte, promise una terra promessa che non avrebbe mai raggiunto. Gli sconosciuti lo seguirono, come si segue un messia che porta in dono un nuovo verbo. Avevano, tutti loro, carriere frammentate e inizi abortiti, spesi - come Fornaciari - nelle serie minori. Nello snodarsi del loro percorso professionale vi si leggeva l'andatura sghemba del calciatore ostaggio di una categoria. Juventina Gela, Atletico Leonzio, Barletta le tappe - per dire - di Fornaciari. Zeman - come Spartaco - li liberò dalla condanna delle catene, regalando loro l'opportunità che consola un'intera vita. Lo fece chiedendo loro un sacrificio da forzati, dandogli in cambio la carezza della gloria. Il tutto aveva un contorno quasi mistico. Raccontò anni dopo Ciccio Baiano che “dopo aver fatto su e giù per i gradoni decine di volte vedevo la Madonna”. Nel triennio in cui prese forma Zemanlandia - un paese dei balocchi tra il 1991 e il 1994 - il Foggia di Zeman ottenne tre salvezze e seminò svariata bellezza, modulata sul 4-3-3, su un ritmo forsennato e su un'ostinata attitudine ad andare all'attacco, senza voltarsi mai indietro. I nomi di quell'epopea sono rimasti nella storia del nostro calcio. Il primo undici titolare di Zeman, al debutto nel campionato 1991-92, debuttò a San Siro, strappando un pareggio contro l'Inter di Matthaus e Klinsmann. Era così composto in porta Mancini, linea difensiva da destra a sinistra con Petrescu, Matrecano, Consagra, Codispoti; a centrocampo Picasso, Barone e Shalimov, davanti un tridente che - meraviglia delle meraviglie - sarebbe persino finito in nazionale: Rambaudi, Signori e Baiano, autore di quello storico gol a San Siro. L'arcigno difensore centrale, Salvatore Matrecano, aveva 21 anni e il traguardo massimo, prima del Foggia, era stata la C2, disputata con la maglia della Torres. Arrivò a Foggia grazie ad una intuizione del ds Pavone, decisivo, con il presidente Pasquale Casillo, per le fortune di quella squadra. Se si googola oggi il cognome Consagra, le prime pagine della Rete ci rimandano a Pietro Consagra, il celebre scultore, tra i massimi esponenti dell'astrattismo nella seconda metà del 900. Il difensore Angelo - perno del Foggia in quel 1991-92 - viene citato molto dopo. Zeman lo aveva allenato ai tempi del Licata, lo volle per il suo primo (e unico) campionato di A, quando già andava per i trent'anni. Del terzino mancino Maurizio Codispoti, Zeman disse che “era l'unico al mondo in grado di autolanciarsi sulla fascia”: si racconta che Casillo, disperato per i tanti cross sbagliati, gli infilasse ogni domenica una banconota da 100.000 lire sul calzettone sinistro, quello del suo piede di riferimento. Dalla mezzala Mauro Picasso - dal nome così altisonante - a Onofrio detto Nuccio Barone, oggi rimangono ritagli di ricordi sparsi, rintracciabili in qualche vecchio filmato. Facevano parte, loro e gli altri, del collettivo operaio del Foggia che in quegli anni si prese la ribalta. Qualcuno ebbe più fortuna, come i tre dell'attacco: Beppe Signori è stato negli anni '90 un bomber implacabile per tre volte capocannoniere della Serie A, Roberto “Rambo” Rambaudi - proprio con Signori - ha vissuto anni d'oro alla Lazio (ancora con Zeman) e con Ciccio Baiano ha assaggiato la nazionale azzurra. In quei tre anni da favola in Serie A, il Foggia di Zeman è stato un cantiere aperto ad ogni rivoluzione estiva, ha cambiato pedine nello scacchiere, così sono arrivati altri comprimari a recitare da primi attori. Gigi Di Biagio, che farà di Foggia il suo piedistallo per i club metropolitani della sua carriera, Roma e Inter, e per l'approdo in nazionale
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