Un anno fa un referendum stabilì la chiusura di un sito di estrazione nel parco nazionale di Yasuní: il tempo per farlo è scaduto, non è cambiato nulla
Un anno fa un referendum stabilì la chiusura di un sito di estrazione nel parco nazionale di Yasuní: il tempo per farlo è scaduto, non è cambiato nulla
Un anno fa in Ecuador si votò per un referendum per decidere se proseguire o meno le estrazioni petrolifere nel parco nazionale Yasuní, nella foresta amazzonica, uno degli ecosistemi più ricchi e incontaminati della Terra. Vinse il “no” con quasi il 60 per cento dei voti e un tribunale costituzionale del paese diede un anno di tempo al governo e alla compagnia petrolifera nazionale Petroecuador per smantellare le strutture e lasciare il sito.
Il parco nazionale Yasuní comprende un’area di circa 10mila chilometri quadrati fra la foresta amazzonica e le Ande, attraversata dall’equatore, nell’est dell’Ecuador. Si stima che in un solo ettaro del parco Yasunì ci siano più specie animali che in tutta l’Europa e più specie vegetali che in tutto il Nord America.
Il sito è però anche una importante risorsa economica per l’Ecuador: il petrolio è una delle principali fonti di entrate del paese , il sito produce 55mila barili al giorno, il 12 per cento del totale dell’Ecuador. Il governo prima del referendum stimò in 16 miliardi e mezzo di dollari la perdite in vent’anni in caso di blocco delle estrazioni.Oggi le associazioni che sostennero il referendum denunciano il governo di non avere rispettato la volontà popolare.
Varie organizzazioni ambientaliste, fra cui Amazon Watch, dicono però che il sito di estrazione nel parco Yasuní, chiamato “Blocco 43”, causa ricorrenti fuoriuscite di petrolio, con effetti non solo sull’ambiente, ma anche sulla salute degli abitanti della zona: incidenza più alta di tumori, aborti spontanei e problemi respiratori.
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