Trent'anni dopo la fine dell'apartheid, il Sudafrica si trova ad affrontare nuove sfide. La caduta del governo del partito fondato da Mandela segna una fase di incertezza, mentre il paese continua a lottare contro la disoccupazione, la povertà e le profonde disuguaglianze.
Anche quel giorno sveglia alle 4.30 del mattino, come sempre. Ginnastica nel cortile del carcere e poi qualche tiro di pugilato contro il vento. È arrivato il momento del congedo. Sono venuti a prenderlo la moglie Winnie e un autista. La casa è piena di gente. Sembra un giorno come gli altri. O almeno, lui tenta di farlo apparire un giorno come gli altri. Mandela è l’africano del ventesimo secolo.
È forse l’unica grande figura storica contemporanea che ha assunto le dimensioni di “mito” tra le sbarre di una prigione. Trump la minaccia e la Groenlandia pensa di indire un referendum sull’indipendenza dalla Danimarca. Simboleggiò la fine di un’epoca di oppressione aprendo faticosamente la strada a una nuova era di speranza e riconciliazione per il paese. Amici, compagni e compatrioti sudafricani. Vi saluto in nome della pace, della democrazia e della libertà per tutti” furono le sue prime parole. Il governo allora divideva ancora per legge i cittadini in base alla loro razza. Aree urbane, quartieri separati per ogni gruppo razziale. Qui i bianchi, lì i neri. Di qua gli indiani, di là i meticci. “Passare per una porta riservata ai bianchi. Un crimine viaggiare su un autobus riservato ai bianchi. Un crimine essere in strada dopo le 11″. Mandela, invece, ha scelto la pace e la riconciliazione, cercando di superare con la mediazione e la non violenza le profonde divisioni razziali e sociali ereditate dall’apartheid. Trent’anni fa, i neri sudafricani votarono per la prima volta mentre il paese celebrava la monumentale nascita di una democrazia. Quel giorno, il 27 aprile 1994, quando firmando la Costituzione (considerata tra le migliori al mondo) Mandela non poteva immaginare che la strada sarebbe stata più lunga e tortuosa del previsto. Che hanno assistito al lento evaporare del sogno della “nazione arcobaleno”. Quella inclusiva e prospera per cui Mandela aveva lottato. Tra le élite governative dei 54 paesi che formano il continente non sono certo in molti oggi(*) e un altro Nelson Mandela, per ora, non c’è. Il partito fondato da Mandela, ha perso per la prima volta in trent’anni la maggioranza assoluta in Parlamento, ottenendo il 40% dei voti. Questa storica perdita riflette una crescente insoddisfazione tra la popolazione sudafricana riguardo alla gestione fallimentare del paese che continua ad affrontare sfide economiche significative, tra cui una crescita a dir poco stagnante, il collasso delle infrastrutture, la corruzione sistemica, l’autorità centrale in declino e l’inadeguatezza delle élite governative nate proprio dal partito fondato da Mandela. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 34,7%. Oltre il 35% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Ma è e resta del continente dove il 70% della terra agricola è ancora di proprietà di bianchi – nonostante i neri rappresentino circa l’80% della popolazione sudafricana. Quello che verrà dopo non è ancora chiaro. “Un vincitore è un sognatore che non si è arreso” diceva Mandela; oggi per fortuna i giovani africani non hanno smesso di sognare e di certo non si sono arresi
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