L'ascesa e la caduta di René Benko, il magnate immobiliare austriaco, raccontata nella sua interezza. Da investitore precoce a simbolo di successo, fino all'arresto per frode e il crac del gruppo immobiliare Signa.
Agli investitori amava dire che solo il Papa e il Re d'Inghilterra possedevano palazzi più belli dei suoi. E tanti ne aveva convinti René Benko , il magnate tirolese arrestato dalle autorità austriache per il crac del gruppo immobiliare Signa . All'apice della sua carriera, Mr 64 metri, come era soprannominato con riferimento al suo mega-yacht, poteva contare su azionisti del calibro della famiglia francese Peugeot, i Rausings di Tetra Pak e persino l'ex pilota di Formula 1, Niki Lauda.
Nel fragoroso crollo di Signa tutti hanno perso molti soldi - 272 milioni solo i Peugeot - mentre il carismatico self-made man austriaco ha ora perso anche la libertà. Nato a Innsbruck nel 1977, Benko è un immobiliarista precoce. Dopo aver lasciato la scuola a 17 anni, ha iniziato a trasformare soffitti in attici di lusso. Poi ha iniziato a lavorare sulle proprietà commerciali, inanellando un successo dopo l'altro per poi fondare il gruppo Signa e lanciarsi in una campagna acquisti immobiliare in tutta Europa. Nella sua carriera fulminea ha saputo anche conquistare il favore della politica austriaca, arrivando a contare fra i suoi consulenti due ex cancellieri, Sebastian Kurz e Alfred Gusenbauer. Negli anni del denaro a costo zero e della liquidità facile, Signa è diventato uno dei maggiori gruppi immobiliari d'Europa. Il suo portafoglio da oltre 23 miliardi è arrivato a comprendere i grandi magazzini britannici Selfridges, il Park Hyatt di Vienna e il grattacielo Chrysler a New York, nonché alcuni progetti nel Nord Italia, in particolare in Alto Adige, e il celebre hotel Bauer di Venezia. Molte di queste proprietà erano state comprate a debito, una montagna di debito distribuita su una miriade di scatole societarie. Secondo un'analisi di JpMorgan, al momento del crac, il passivo di Signa era arrivato ad almeno 13 miliardi di euro, ottenuti da assicurazioni, fondi di investimento e, ovviamente, banche. Fra loro la svizzera Julius Baer, Credit Suisse (oggi Ubs), Bank of China, la francese Natixis, l'austriaca Raffeisen e l'italiana UniCredit. Poi, è arrivata l'inflazione e, con essa, il rialzo dei tassi da parte delle banche centrali: improvvisamente, i conti di Benko non sono più tornati. Veloce come era cresciuto, anzi di più, l'impero del tycoon austriaco si è disgregato. E la garanzia degli immobili di lusso di Signa si è presto rivelata meno solida del previsto per i suoi finanziatori. A marzo del 2024 Benko ha venduto il 50% dei prestigiosi grandi magazzini KaDeWe di Berlino per 300 milioni, una frazione del valore iscritto nei bilanci di Signa. Poche settimane più tardi, poi, i responsabili della procedura di insolvenza hanno proposto ai creditori di accontentarsi di ricevere solo il 30% di quanto prestato. Le banche hanno accettato, ma a ottobre il piano è stato bocciato dai tribunali austriaci che hanno dichiarato il fallimento di Signa Prime, la società del gruppo che controllava gli edifici più pregiati. Si arriva così all'oggi e all'arresto di Benko, su cui pendono indagini in quattro Paesi, inclusa l'Italia. Il tirolese è stato fermato su ordine della Procura anticorruzione di Vienna, tra l'altro per il sospetto di aver distratto parte della massa fallimentare. Secondo le autorità, Benko avrebbe venduto Villa Eden Gardone, sul lago di Garda, a una fondazione del Liechtenstein con una transazione fittizia che potrebbe nascondere un'appropriazione indebita. I procuratori sostengono inoltre che l'ex Re Mida degli immobili abbia nascosto ai creditori ingenti somme. Avrebbe infatti trasferito ingenti quantità di denaro a una fondazione con sede a Innsbruck e denominata come la figlia Laura, ma di cui in realtà lo stesso Benko sarebbe stato il vero proprietario
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