In Benn il desiderio è desiderio di congedo, sottrazione e potenza pura, cristallizzata: egli spegne la lanterna, si toglie il mantello di Zarathustra e rimane nudo
Un’autobiografia che è inevitabilmente autogiustificativa e che affronta lo spinoso problema della forma e dello stile indagando la sostanziale duplicità dell’io lirico
. Ciò che interessa al siderale poeta “imperdonabile” e sifilopatologo tedesco, a tutt’oggi misconosciuto, probabilmente a causa della coltre di fango che ha avvolto la sua opera per la sua fascinazione estetica verso la propaganda nazista, è soprattutto ciò che dilegua, la cenere: l’Io e, con esso, il possesso che l’Io esercita sulle cose.
Membro dell’Accademia prussiana delle Arti dal ’32, nel ’33 riceve da un lungimirante Klaus Mann ventisettenne una lettera di ammonimento che è un’esortazione a lasciare l’Accademia e un invito a vegliare sui pericoli dell’irrazionalismo . Sempre nell’anno delle Legge per la protezione dei caratteri ereditari,
sceglie l’esilio, poco dopo il discorso tenuto all’Università di Monaco su Dolore e grandezza di Richard Wagner, in cui affronta il rapporto, semplificato e strumentalizzato dal nazismo, del compositore tedesco con il germanesimo., abitante nell’interregno fra nulla e creazione, Benn scrive all’amico F. W. Oelze : “Il tedesco è veramente se stesso allorché esordisce con una sciatteria. E’ questa la felicità germanica.
. Mentre la volontà di potenza nicciana è autosuperamento, affermazione del desiderio che vuole il suo accrescimento,: egli spegne la lanterna, si toglie il mantello di Zarathustra e rimane nudo. In lui le potenze sorgive si stratificano, si rivelano in lontananze, in un distacco redimibile solo nello stile, prendono forma nei suoi alter ego Rönne e Pameelen.