Il tempismo non è mai stato il suo forte. Ad aprile, finito nel mirino per la gestione confusa della prima fase della pandemia, l’assessore alla Sanità Luigi Icardi si era detto «pronto ad andare in galera a testa alta». Peccato che nessuno, a eccezione del diretto interessato, avesse mai ventilato ...
Il tempismo non è mai stato il suo forte. Ad aprile, finito nel mirino per la gestione confusa della prima fase della pandemia, l’assessore alla Sanità Luigi Icardi si era detto «pronto ad andare in galera a testa alta». Peccato che nessuno, a eccezione del diretto interessato, avesse mai ventilato quell’ipotesi. L’uscita aveva suscitato parecchio imbarazzo nella giunta Cirio, che l’aveva forse interpretata come un’ammissione involontaria di colpevolezza.
Ora ci risiamo. Icardi sceglie i giorni in cui l’epidemia riprende a galoppare per concedersi dieci giorni di luna di miele. Anche questa volta il presidente ha storto il naso. Di più. Avrebbe apertamente manifestato la sua contrarietà a un allontanamento ritenuto inopportuno in una fase così delicata. Ma, si sa, al cuor non si comanda.
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Il professore decapitato in Francia e il coraggio di insegnare la libertàE adesso che faccio, con i miei studenti, quando arrivo al capitolo “libertà di espressione”? Dico loro che è un cardine delle nostre democrazie liberali, e che quindi non la si può né sopprimere né restringere – a meno che non ci si trovi di fronte all’incitamento all’odio, all’apologia dei crimini contro l’umanità o alla diffamazione – oppure taccio per non mettermi in pericolo? Come spiegare loro quello che è successo l’altro ieri a Conflans-Sainte-Honorine, il piccolo comune a Nord-Ovest di Parigi dove un insegnante è stato decapitato da un terrorista islamico per aver mostrato in classe alcune caricature di Maometto? Il Presidente Macron, commentando a caldo questo macabro assassinio, ha detto che l’insegnante è stato ucciso «perché insegnava la libertà di credere e non credere». E anche se al giorno d’oggi può sembrare assurdo che una persona, in Francia, possa morire in nome della libertà, è proprio questo che è accaduto, e continua ad accadere, da quando nel gennaio del 2015 sono stati barbaramente trucidati alcuni giornalisti della redazione di Charlie Hebdo. In questi ultimi anni, in Francia, c’è chi sta pagando con la vita il proprio attaccamento alla libertà. Che non è ovviamente la libertà di fare tutto o di dire qualunque cosa – visto che l’hate speech, per restare nell’ambito discorsivo, è giustamente sanzionato. Ma è la libertà di pensare con la propria testa, di scegliere in cosa credere, e di difendere le proprie idee e i propri valori senza che nessuno cerchi di impedircelo. E quindi? Cosa farò con i miei studenti? Avrò la forza e il coraggio di ribadire l’importanza di questa libertà nonostante le minacce islamiste? Certo, la libertà di espressione finisce laddove il discorso non si limita più solo a dire, argomentare, spiegare, illustrare, o al limite anche ironizzare, ma agisce e ferisce, accanendosi contro qualcuno per annientarlo o distruggerlo. Quando si insulta una persona perché omosessuale o trans o straniera o disabile, l’argomento della
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