Un racconto del successo di uno scrittore di gialli che si è fatto strada nel mondo letterario italiano, superando le difficoltà personali e la diffidenza del pubblico verso i gialli italiani.
Mio padre aveva due grandi problemi: il cancro, che si sarebbe ripresentato più volte, e una madre egocentrica che dilapidava il patrimonio familiare e ci disprezzava. Mia madre, che aveva rischiato di morire nel darmi alla luce, soffriva di disturbi psichici e ogni pomeriggio, quando si esauriva l'effetto del tranquillante, perdeva il controllo. In casa c'ero solo io su cui sfogarsi a pugni e calci fino all'ora del farmaco successivo. Smise solo quando imparai a parare i colpi.
È facile capire perché preferissi rifugiarmi in mondi immaginari e, oltre a quelli in cui vivevo da lettore e spettatore, inventarne di miei. La mia vocazione si manifestò a sei anni, nell'autunno del 1970, quando in rapida successione scoprii Salgari, Il Giallo Mondadori, i film di Hitchcock e di 007. Ma per me i veri eroi non erano quelli sulla pagina e sullo schermo, bensì coloro che ne scrivevano le storie. Vedevo qualcosa di glorioso in quella gente che si metteva alla macchina da scrivere per creare trame e avventure dal nulla. Volevo diventare come loro. Nel 1978 già scrivevo racconti, ma fui iscritto a forza a un liceo noto a Milano come “il lager” per la sua severità. Negli anni '80, su istigazione di mio padre, approdai a Ingegneria, in quel periodo un'assurda fabbrica di fuori corso che non risparmiava neanche chi era molto più bravo di me. Intanto continuavo a sognare di rendermi indipendente scrivendo gialli, anche quelli che si compravano in edicola come i Gialli Mondadori.“cartaccia”. Decenni più tardi sarebbero stati considerati maestri della letteratura noir: mai sottovalutare ciò che si trova nelle edicole. Anche se stanno scomparendo dalle città, come già sono spariti i cinema, quelle rimaste vendono ancora libri, tra cui i miei. Nel 2010 le edicole erano circa 40mila, e thriller di Mondadori: nel 1993 tra Il Giallo Mondadori (settimanale), Segretissimo e I Classici del Giallo (quattordicinali) uscivano almeno otto titoli al mese, mentre ora fra tutte le varie testate sono in media cinque. In più, oggi, Il Giallo Mondadori è cambiato ed è tornato presente in libreria come “d’autore”, perché dall’dei romanzi di Andrea Camilleri su Montalbano, a partire dal 1998, tutti i giallisti italiani, tranne noi, cominciarono a pubblicare e ad avere successo in libreria senza passare dalle edicole. Non so se per scrivere gialli sia necessario essere figli unici e accumulare frustrazioni. Sospetto di sì, se penso a due persone con cui avrei diviso quasi un trentennio di lavoro e amicizia. Andrea Pinchetti, nato nel 1960, orfano di padre da bambino, si era trovato una nuova figura paterna in un amico di famiglia, ma rivisse il proprio trauma quando anche lui prematuramente morì; per tirare avanti il mio amico Pinchetti si costruì un alter ego “duro” che battezzò Andrea G. Pinketts. L’altro è Stefano Di Marino, classe 1961, che si laureò in giurisprudenza, ma non riuscì mai a soddisfare le aspettative del padre, che lo considerava un buono a nulla e non glielo nascondeva. Tutti e due cercavano il riscatto attraverso gli sport da combattimento e la scrittura. Pinketts praticava pugilato e kendo, lavorava come giornalista investigativo e pubblicava racconti e articoli in appendice al Giallo Mondadori (che tuttavia rifiutò il suo primo romanzo,, giudicandolo troppo fuori dagli schemi). Di Marino, esperto di varie arti marziali, faceva il redattore e il traduttore, e aveva al suo attivo qualche romanzo in libreria ed edicola, con il proprio nome e vari pseudonimi tra cui Stephen Gunn. Io avevo già preso abbastanza botte e potevo fare a meno di altri combattimenti, ma come loro sentivo il bisogno di un risarcimento esistenziale. Cercavamo vite alternative attraverso i nostri personaggi. Se si fossero guadagnati il rispetto e l’amore del pubblico, saremmo stati ripagati almeno in parte delle nostre carenze affettive. Il giallo, che tratta temi come giustizia, vendetta e morte, era la scelta più naturale. Non ci importava troppo di fama e denaro, perché per noi scrivere era una questione di sopravvivenza. Purtroppo a quei tempi c'era solo un problema più grande da risolvere: il pubblico italiano diffidava dei giallisti italiani.ambientato in Italia: in una “società perfetta” non si doveva parlare di delitti. Tutti si convinsero che i gialli potessero essere solo un prodotto estero. Ma nel dopoguerra, visto il successo dei Gialli Mondadori che erano stati fondati nel 1929, molti altri editori lanciarono collane di thriller, in cui però gli italiani dovevano nascondersi dietro pseudonimi e scenari stranieri. Nonostante alcuni grandi autori di gialli e di thriller scrivessero in italiano, come Giorgio Scerbanenco, il giallo nazionale non veniva riconosciut
Scrittura Giallo Thriller Editoria Letteratura Italiana
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