Donald Trump mette in atto una purga all'interno del Dipartimento di Giustizia e dell'Fbi, licenziando dirigenti e avviando inchieste contro agenti e procuratori coinvolti nelle indagini sull'assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Le azioni di Trump, guidate da Emil Bove e Ed Martin, sollevano preoccupazioni per un possibile clima di vendetta politica e per la trasparenza del sistema giudiziario americano.
NEW YORK - «Colpirne uno per educarne cento» diceva Mao Zedong negli anni Sessanta per giustificare le violenze delle Guardie rosse durante la Rivoluzione culturale cinese. Ma a Donald Trump non basta.
Al ministero della Giustizia e all’Fbi è iniziata una vera e propria purga: licenziati almeno otto dirigenti non ritenuti adatti «ad applicare in buona fede l’agenda programmatica del presidente Trump» come si legge nell’ordine di allontanamento, mentre vengono annunciate inchieste sul comportamento di tutti i detective e gli agenti — sono migliaia in tutta l’America — che hanno partecipato alle indagini sugli insorti che il 6 gennaio 2021 andarono all’assalto del Congresso. Parallelamente al ministero della Giustizia Emil Bove, un avvocato di seconda fila del team legale che ha difeso Donald Trump dalle sue incriminazioni e che ora, mandato in quel dicastero, si è trovato ad essere facente funzioni del ministro (in attesa della conferma in Senato di Pam Bondi e del suo vice, Todd Blanche, un altro e ben più autorevole, avvocato di Trump), ha avviato licenziamenti e indagini anche sui procuratori che hanno partecipato alle inchieste sui disordini del 6 gennaio a Washington. In base a una sua disposizione che sembra preannunciare non solo licenziamenti, ma anche la futura trasformazione di alcuni pubblici accusatori in imputati («non tollererò personale sovversivo nei miei uffici»), Ed Martin, un altro esponente trumpiano nominato facente funzioni del capo della Procura federale di Washington il 20 gennaio scorso, proprio mentre Trump giurava in Campidoglio, ha messo alla porta una trentina di procuratori che hanno lavorato alle indagini sul 6 gennaio. Non è chiaro se l’accusa di essere sovversivi derivi dal modo in cui hanno condotto le indagini o sia stata formulata solo perché nell’era Biden il loro incarico temporaneo è divenuto un lavoro a tempo indeterminato. Ma Martin va oltre: vuole indagare anche esponenti politici come il senatore democratico Chuck Schumer, messo «sotto esame» perché, quando la Corte Suprema cancellò il diritto all’aborto, disse che i giudici avrebbero pagato un prezzo elevato per quella decisione. Inquieta, poi, il fatto che venerdì licenziamenti e indagini legati alle incriminazioni di Trump e dei suoi fan ribelli, sono stati comunicati proprio mentre in Senato il futuro capo dei «federali», Kash Patel, assicurava sotto giuramento, durante l’audizione di conferma parlamentare della sua nomina, che «tutti i dipendenti dell’Fbi saranno protetti da ogni tentativo di vendetta politica». E il giorno prima Pam Bondi aveva fatto la stessa promessa per la Giustizia. Secondo alcuni Trump ha fatto fare il «lavoro sporco» a personaggi secondari per non creare eccessivi imbarazzi ai suoi due inviati al vertice del sistema giudiziario. Per altri il preannuncio di tempi bui, con le promesse di moderazione che lasciano il tempo che trovano. Certo, Patel e Bondi sono ancora in attesa di ratifica da parte del Senato. Difficile che saltino, anche se il senatore John Kennedy (repubblicano, nessun rapporto con la famiglia di Jfk) ha detto a Patel che il Parlamento lo considera responsabile di ogni tentativo di vendetta nell’Fbi. Paradossale la situazione del Bureau dove, in attesa di Patel, il facente funzioni, incaricato da Bove di licenziare e indagare, Brian Driscoll, ha spiegato di essere lui stesso (e il suo vice Bob Kissane) nella lista degli indagati. Ma sono giorni di grande caos e panico per trasferimenti e licenziamenti in tutti i rami del governo, dal Pentagono alla Sanità. Cacciato ieri anche il capo dell’Ufficio per la protezione dei consumatori, Rohit Chopra. E in futuro potrebbe essere ancor più difficile sapere cosa sta davvero accadendo negli uffici federali: alcuni dipendenti delle Risorse umane del Doge, il dipartimento dell’Efficienza di Elon Musk, formalmente solo un consulente del governo visto che continua a gestire le sue aziende, hanno tolto ai funzionari del dipartimento che amministra il personale pubblico l’accesso al sistema informatico che contiene i dati di tutti i dipendenti
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