Valentina Bianco lavora come infermiera nell’Ospedale Giovanni Paolo II di Olbia dove non si era pronti all'arrivo del Covid19 😷
La Sardegna non poteva rimanere un’isola felice. Lo sapeva fin da subito, da quando a Codogno lo scorso 22 febbraio è stato ricoverato. Si sperava, ma con la quantità di sbarchi, voli, spesso frequentati da locali che vanno e vengono, era inevitabile. Eppure non si era preparati. L’allarme è scattato a Cagliari, per poi arrivare nel nord della Sardegna, dove i numeri sono i più alti soprattutto fra gli operatori sanitari.
Oggi mi trovo a scorrere le foto del rullino del mio smartphone, l’ultimo scatto all’aperto con mia figlia e il mio cane nel parco vicino a casa mia risale al 4 di marzo, quando in Lombardia era già scattato il coprifuoco per alcune città e i casi iniziavano ad aumentare giorno per giorno. Quindi no, non eravamo pronti all’arrivo della pandemia, come non era pronta il resto dell’Italia, tanti altri Paesi della Unione Europea e il resto del mondo.
Questo mi spaventa, molto, perché come lavoratrice sapermi colpevole anche involontariamente di un possibile contagio ai danni dei miei pazienti mi fa stare male. Non è quello per cui ho scelto questo difficile mestiere e nessuno dovrebbe lavorare con un dubbio simile.
Ormai è tardi, la paura sin da subito ha generato panico, esasperazione, necessità di informazioni e con essi anche i furti. Sono spariti gel per sanificare le mani, mascherine, improvvisamente i DPI ci venivano dati in mano e contati turno per turno solo una volta arrivati in reparto, a ogni ordine di 1000 pezzi improvvisamente ne arrivavano 100. E il virus evolveva come le informazioni che ci venivano date. Abbiamo fatto e facciamo del nostro meglio col poco che ci viene fornito.
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