La Siria dopo Assad: un futuro ancora da scrivere

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La Siria dopo Assad: un futuro ancora da scrivere
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Un mese dopo la fuga di Assad, la Siria si trova in un momento di transizione. La percezione è cambiata, la fiducia è cresciuta, ma le sfide sono ancora molte.

È passato appena un mese dalla fuga di Bashar Assad da Damasco. La storia ha corso frenetica per qualche settimana: l’avanzata su Aleppo, lo scioglimento dell’esercito regolare, l’arrivo degli ex jihadisti di Al Qaeda e dell’Isis a Damasco. Da un mese a questa parte sta rallentando, ma già la percezione è cambiata. Nelle prime ore della «rivoluzione senza sangue», la «rivoluzione della misericordia» come l’aveva definita l’ex «terrorista anti-americano» Al Jolani , i siriani avevano paura.

Per entrare in hotel, la sera dell’8 dicembre, bisognava quasi buttar giù la porta. Gli albergatori si erano barricati per la paura dei saccheggi. La Siria era una terra senza padrone, senza legge, senza ordine. In strada c’erano solo miliziani più o meno improvvisati con il kalashnikov in spalla e qualche sciacallo con poltrone da ufficio sul sellino dietro della moto. Nel giro di tre giorni, però, i negozi avevano riaperto e la gente era scesa in piazza a festeggiare. Il merito è stato di Al Jolani che li aveva rassicurati. Tutti. Dai colleghi ribelli di fazioni diverse dalla sua alle minoranze, i cristiani in primis. I suoi miliziani barbuti si erano seduti davanti agli edifici pubblici a proteggere le «strutture dello Stato». Di fatto hanno impedito il caos, salvato i musei, i ministeri, ma anche le case private. «Sarà una Siria per tutti», diceva Al Jolani. Il suo governo provvisorio sarebbe durato fino a marzo 2025, poi sarebbe partita un’assemblea costituente e quindi nuove elezioni. «Non dobbiamo sostituire un dittatore con un altro». Un guerrigliero gentile. Per strada è cresciuta la fiducia. Dicevano «l’aria ha un sapore diverso da quando non c’è Assad, è più fresca». Hanno cominciato a parlare senza la paura del mukabarat, il servizio segreto del presidente fuggiasco. Carceri, torture, fosse comuni, gas sarin, barili bomba: le nefandezze di 50 anni di regime sepolti sotto tonnellate di terrore improvvisamente diventavano tanto leggere da passare di bocca in bocca fino ai reporter stranieri. Segreti tenuti per decenni rivelati in un attimo. Al Jolani ha persino vietato di sparare in aria per festeggiare perché «qualcuno potrebbe spaventarsi». Turchi, arabi, americani ed europei hanno fatto tappa a Damasco per allacciare relazioni col nuovo corso, promettere aiuti, discutere di come e quando interrompere le sanzioni economiche. Poi man a mano che l’attenzione del mondo scemava, sono arrivate le dichiarazioni bellicose sui curdi siriani («non permetteremo che la Siria diventi una base per attaccare la Turchia»), la nomina di un ministro di Giustizia che ha la lapidazione delle adultere nel suo codice penale, le aperture alla Russia («è presto per smantellare le sue basi in Siria»), la mancata stretta di mano alla ministra tedesca Baerbock perché donna, l’annuncio che le elezioni non saranno poi così presto, «magari fra 4 anni». Al Jolani si è installato nel palazzo di marmo che fu di Assad e ora ci riceve gli ospiti internazionali da capo di Stato non eletto. Eppure aveva dichiarato di «non voler sostituire un dittatore con un altro». Che la Siria non potesse diventare una liberal democrazia da un giorno all’altro era chiaro sin dall’8 dicembre. Quel che sarà resta tutto da costruire. Attraverso i propositi di Al Jolani, ora tornato a chiamarsi Ahmed al-Sharaa, quelli dei curdi, dei cristiani, degli alawiti orfani del presidente Assad, ma soprattutto quelli di tutti i Paesi della Regione e delle superpotenze. Per il momento di certo la Siria «autostrada per le armi iraniane verso gli Hezbollah del Libano» non esiste più. È diventata un corridoio aereo per i bombardieri di Israele verso l’Iran. Con migliaia di raid Tel Aviv ha distrutto nei primi 10 giorni di cambio di regime anche l’ultimo radar che potesse avvisare gli ayatollah di un jet in avvicinamento. Altra certezza è che da Paese in via di iranizzazione, la Siria è tornata sotto l’influenza neo-ottomana (con la benedizione del prossimo presidente Usa Donald Trump). Infine è altrettanto certo che la leadership alawita è ora rimpiazzata dalla leadership sunnita cresciuta all’ombra della Turchia nella provincia ribelle di Idlib da cui è partita la rivolta. Il resto del futuro è da costruire

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