Un'analisi critica della svolta di orientamento politico ed economico che vede l'impegno per la sostenibilità e la transizione verde minimizzato e rimosso come priorità. L'articolo evidenzia le ragioni di questa inversione, tra cui l'ascesa del populismo conservatore, l'interpretazione opportunistica degli ESG e la complessità normativa che ha portato a una reazione di rifiuto da parte di alcuni attori del sistema economico. L'autore, pur riconoscendo errori commessi, auspica che questa crisi di fiducia possa portare a una ridefinizione dell'impegno per la sostenibilità, basata su un reale impatto positivo e non sulla semplice conformità a norme.
È una rapida e improvvisa inversione dello spirito dei tempi. Se fino a qualche mese fa l’impegno verso la sostenibilità e la militanza attiva della finanza e delle imprese contro il cambiamento climatico e le disuguaglianze sembravano imperativi ostentato e irrinunciabili, oggi le stesse forme di impegno vengono minimizzate, nascoste, addirittura ripudiate.
O così sembrerebbe da alcuni casi esemplari di operatori finanziari che hanno ritirato i loro asset dai fondi più orientati contro il cambiamento climatico o di imprese che hanno rilassato le loro pratiche di inclusione e tutela delle minoranze. Le ragioni di questo cambiamento sono molteplici e convergenti: certo il ciclo strutturale delle emozioni, che al tempo dei grandi entusiasmi fa seguire sempre il tempo della disillusione, ma soprattutto un vento politico che oggi premia il populismo conservatore che si nutre di scetticismo e scorciatoie semplici, non solo affermatosi ma anche sdoganato esteticamente con la vittoria di Trump. Non poco hanno contato l’interpretazione vuota e opportunistica dei temi Esg da parte di molti attori del sistema economico e l’esplosione del contenzioso, da cui molte imprese si sono sentite minacciate. Moltissimo in Europa ha inciso un’oggettiva over-regulation estremamente burocratizzata ma anche un’impostazione politica che ha colpevolmente deciso di ignorare coloro che mandavano forti e frequenti segnali di sentirsi esclusi dalla transizione verde. Il sistema economico ha sviluppato i propri anticorpi e una crisi di rigetto prontamente interpretata dai governi francese e tedesco, ma anche da gran parte degli interessi economici, che hanno inviato alla Commissione accorati appelli alla semplificazione e all’alleggerimento degli oneri. Tali appelli hanno trovato immediata accoglienza da parte della presidente Ursula von der Leyen che sta lavorando al decreto di semplificazione cosiddetto Omnibus, che contiene una revisione importante delle principali direttive in materia di sostenibilità emanate dalla Commissione negli ultimi anni. L’ossessione della semplificazione è il meccanismo psicologico più recondito all’origine di questa nuova ondata di trionfante cinismo e scetticismo. La sostenibilità con i suoi obblighi e doveri deve essere apparsa a molti come l’untore perfetto in un’Europa in terribile crisi di identità industriale, di produttività e clamorosamente esclusa dalle grandi partite tecnologiche globali. Sempre, in queste circostanze di difficoltà, emerge la trita retorica dei «lacci e lacciuoli» che impedirebbero a un sistema industriale altrimenti straordinariamente competitivo di esprimere il suo presunto potenziale. Non il fallimento dei grandi programmi Horizon nel posizionare l’industria europea alla frontiera delle grandi sfide tecnologiche, non la completa assenza di serie politiche di ricerca e innovazione in Italia, ma gli insopportabili obblighi di rendicontazione Esg sarebbero quindi i responsabili della crisi di competitività dell’industria italiana ed europea. È un meccanismo psicologico tanto ingenuo quanto dannoso, con un pericolosissimo ritorno a quell’approccio muscolar-finanziario che si ritrova nelle pagine del rapporto Draghi. Non vi è alcun dubbio che siano stati compiuti errori enormi. La retorica e il vuoto cosmico di talune interpretazioni nel mondo finanziario e industriale degli Esg è stata insopportabile e dannosa così come lo stucchevole appiattimento della politica sul racconto di una crescita green non meglio circostanziata e sorda alle istanze sociali e produttive.La brutta notizia è che anche quando ci saremo liberati di tutto ciò, i drammatici problemi per cui le norme e le direttive erano state pensate non scompariranno affatto, anzi si aggraveranno. La legittima istanza di semplificazione non può tradursi nella rimozione dei problemi. Per questo c’è da augurarsi che questa imponente produzione di anticorpi anti-sostenibilità faccia pulizia di tutti coloro che in questi anni hanno creduto di poter sfruttare opportunisticamente l’impegno ambientale e sociale, lasciando spazio a chi invece, nell’industria e nella finanza, ha deciso di interpretare l’impegno per il clima e la società in senso trasformativo, guardando al reale impatto delle proprie scelte, scegliendo di andare oltre gli obblighi per innovare il proprio business, per proteggerlo dai rischi futuri o, semplicemente, per onorare quella vecchia ma sempre attuale stella polare che è il valore di lungo termine.*Politecnico di Milan
Sostenibilità ESG Politiche Ambientali Transizione Verde Semplificazione Economia Europea Populismo Conservatore
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