Una partita di calcio tra Salernitana e Potenza si trasforma in un incubo. L’invasione di campo, la violenza e gli spari dell’arma di un poliziotto causano la morte di un tifoso. Un evento che sconvolge la città e rivela le tensioni sociali del tempo.
E poi nella baraonda partono tre colpi di pistola in rapida successione. Il sibilo dei proiettili si perde nell’aria, confondendosi nel frastuono. Se questo fosse un film, nella sequenza successiva si vedrebbe un uomo a terra, la testa reclinata, il corpo piegato in maniera scomposta. La macchia del sangue si allarga oltre il contorno della sua figura, attorno a lui si fa calca. Non tutti realizzano quello che sta succedendo. Siamo allo stadio Vestuti di Salerno, tra i gradoni della tribuna.
C’è molta confusione. I più sono interessati a quello che sta succedendo in campo. Non si sta giocando, la partita è sospesa, c’è stata un’invasione solitaria. Un uomo ha superato le transenne dei Distinti ed è corso nella direzione dell’arbitro, ma due agenti della Questura l’hanno bloccato e immobilizzato, quindi, assieme ad altri colleghi, hanno cominciato a picchiarlo con il manganello. Lo stadio è un vulcano in eruzione. Quando finalmente si rialza dal pestaggio, l’uomo ha il volto tumefatto e la camicia imbrattata di sangue. Barcollando fa qualche passo verso la tribuna, poi urla rivolto ai tifosi: “Avete visto? Avete visto cosa mi hanno fatto?”. È la scintilla che fa scoppiare l'incendio. In più di duecento - eccitati dall’adrenalina e infuriati per l’accaduto - travolgono la rete di recinzione e fanno irruzione in campo, affrontando gli uomini delle forze dell’ordine. È una vera e propria battaglia. I poliziotti si difendono sparando lacrimogeni, l’aria è acre, entrano in azione anche le camionette della polizia, qua e là prendono forme risse e tafferugli, volano pugni, manganellate, calci, bastonate. Verrà stabilito che la pistola incriminata è in dotazione a un tenente di polizia, si chiama Gaetano Parasole. La sua intenzione è quella di sparare tre colpi intimidatori in aria, vuole disperdere la folla, ma al momento di premere il grilletto - così afferma il poliziotto - qualcuno dietro di lui gli colpisce il braccio, che si abbassa all’improvviso. Ne consegue una traiettoria imprevista, che sorvola le teste dei tifosi in campo e finisce la sua corsa colpendo alla tempia un uomo seduto in tribuna, a decine di metri di distanza. A rimanere a terra, colpito a morte, è Giuseppe Plaitano. Ha 48 anni, è un ex maresciallo della marina militare, ha lavorato per anni con incarico da telemetrista. È sposato con la signora Maria Vigilante, che quel pomeriggio lo attende come sempre sul portone di casa, per la rituale passeggiata domenicale dopo la partita. Plaitano ha quattro figli: Umberto, che è andato allo stadio con il padre, Raffaele, Gennaro e Annamaria. Quando in tribuna ci si accorge della gravità della situazione, Plaitano viene soccorso: muore in ambulanza, durante il tragitto in ospedale, che in linea d'aria dista dallo stadio poco più di 200 metri. Nel primo comunicato ufficiale, il direttore degli Ospedali Riuniti di Salerno, il dottor Achille Napoli, che è anche il vicesindaco della città; afferma che “il cadavere non presenta alcuna ferita da arma da fuoco. È stata invece riscontrata una grossa ecchimosi nella parte alta del torace”. Ma la perizia balistica e l’autopsia lo smentiscono praticamente subito: non c’è stata nessuna compressione toracica, Giuseppe Plaitano è deceduto per un colpo d’arma da fuoco. Ma perché un uomo è morto allo stadio? Si poteva forse evitare la tragedia? Torniamo ai fatti di quel giorno. Il 28 aprile del 1963 allo stadio Vestuti è in programma Salernitana-Potenza, partita valida per il girone C della Serie C, 30ª giornata, si lotta per la promozione in Serie B. Non è un giorno qualsiasi. È caduto il governo Fanfani, in Italia si vota, ovunque c’è grande tensione. Lo stadio Vestuti - che ha una capienza accreditata di 12.000 posti - è stracolmo. Il risultato è fissato sull’1-1 quando, a dieci minuti dalla fine, l’attaccante della Salernitana Oliviero Visentin entra nell’area di rigore avversaria e viene affrontato in tackle da un difensore. Visentin cade reclamando il rigore, ma l’arbitro - Gandiolo di Alessandria - fa cenno ai giocatori di proseguire. Non ha ravvisato alcuna scorrettezza. È in quel preciso istante che al Vestuti scoppia il finimondo. L’invasione di campo, la partita che viene sospesa, la folla padrona del terreno di gioco. La polizia che interviene con una durezza che verrà ritenuta eccessiva. Così come i giocatori di entrambe le squadre, anche l'arbitro - colpito dal pugno di un tifoso - trova riparo negli spogliatoi. Vi rimarrà asserragliato fino a notte fonda, uscirà col favore delle tenebre scortato dalle forze dell'ordine. La partita viene definitivamente sospesa. In settimana il Giudice Sportivo assegna lo 0-2 a tavolino a favore degli ospiti. I 2 punti in classifica spingono il Potenza verso la promozione in Serie B. Lo stadio Vestuti viene squalificato per quattro turni. La tragica contabilità di quella domenica annota un morto e 57 feriti. Ai funerali, nella Chiesa dell’Immacolata dei Padri Cappuccini, partecipano più di ventimila salernitan
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