Ha raccontato la vita di reclusione e privazioni a cui è stata costretta: ha subìto minacce ed è stata ripudiata dai genitori
Ik ga levenin italiano, un concentrato di rivelazioni sulla vita di reclusione e privazioni a cui è stata costretta in quanto appartenente a una comunità musulmana ultrareligiosa ad Amsterdam. Con il caso editoriale che l’ha portata a ricevere minacce di morte e ad essere ripudiata dai genitori, di recente, Lale, edita da Mondadori, è arrivata anche nelle librerie italiane.
«Dobbiamo ricordarci che ogni cambiamento storico è stato favorito dalla temerarietà di qualcuno. Non ci sarebbe emancipazione se non ci esponessimo e corressimo rischi per difendere la nostra libertà di vivere la vita che desideriamo e non - come nel mio caso - quella che la nostra famiglia, religione o cultura designa per noi».
«È stato un processo molto lento e graduale, inizialmente credevo in Dio, quindi avevo molta paura di criticare le sue regole che erano indiscutibili. Almeno così mi era stato detto. Dai 6 anni, nei weekend, ho frequentato una scuola islamica. A casa, i miei genitori e i miei nonni pregavano 5 volte al giorno e digiunavano per tutto il mese di Ramadan. Ogni attività quotidiana - mangiare, dormire, lavarsi, salutarsi - iniziava e finiva con le preghiere.
«Non credo che le regole della religione islamica siano sacre. Ho imparato a dare uno sguardo critico alla maggior parte delle regole, soprattutto sulla disuguaglianza tra uomini e donne. Ho imparato a esprimere la mia opinione, a dire senza problemi cosa voglio o non voglio fare, come per esempio non indossare il velo, andare al mare d’estate, innamorarmi di un ragazzo non musulmano o fare sesso prima del matrimonio.
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