Lavorare a Dubai: il successo del Made in Italy - VanityFair.it

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, nel 2001, c’era solo sabbia, e la megalopoli di grattacieli che vediamo adesso era un miraggio nel deserto. Ma Giorgio, dopo quella prima settimana di vacanza, non ci pensò un attimo: tornò a Milano, chiuse lo studio di architettura che aveva aperto appena un anno prima e, sulla scia dell’entusiasmo e dei suoi 34 anni pieni di sogni, si trasferì a Dubai.

«Nel 2001, ero fra i pochissimi architetti italiani in loco. In genere, gli altri colleghi facevano base qui a spot, al massimo per qualche settimana, e poi rientravano in Italia. Non è stato facile portare avanti una scelta così fuori dal coro», racconta Giorgio, «Ma negli ultimi dieci anni, ho assistito a una radicale inversione di tendenza.

, tutto, e non solo in termini di denaro, ma soprattutto di tempo e risorse umane, per comprendere il giusto approccio al cliente, che qui si traduce in un mix di 202 nazionalità e culture diverse. In pratica, ogni giorno, che mettono a dura prova non solo l’idea stessa di come strutturare un progetto, ma anche la relazione committente/professionista.

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