L'articolo esplora il rapporto stretto che si è sviluppato tra le maggiori aziende tecnologiche americane e il nuovo governo di Donald Trump. Analizza la presenza di CEO come Elon Musk e Mark Zuckerberg alla cerimonia di insediamento e come le loro azioni e dichiarazioni riflettono un'alleanza strategica con il governo. Si delinea un quadro di interessi comuni, come l'approvazione di policy favorevoli alle aziende tecnologiche, l'aumento degli investimenti governativi in settori come lo spazio e l'intelligenza artificiale, e la possibile influenza sulle politiche antitrust.
Costruire relazioni. In alcuni casi rafforzarle. Ma soprattutto cercare di influenzare le politiche future. Proteggere i propri affari e farli crescere attraverso una legislazione più favorevole e accordi diretti con il governo. La presenza dei capi d’azienda delle grandi società tecnologiche americane alla cerimonia di insediamento di Donald Trump ha significati pratici e simbolici.
Otto delle dieci aziende tecnologiche americane a maggiore capitalizzazione di mercato erano presenti alla cerimonia: Tesla, Amazon, Meta, Google, Apple. Tutte rappresentate dagli amministratori delegati. Con qualche eccezione, come Microsoft e Nvidia, che comunque hanno versato il loro obolo per l’inaugurazione (un milione ciascuna, in media). Ad ogni modo il quadro offerto ieri dalla cerimonia offre una fotografia piuttosto precisa del rapporto che i colossi tecnologici vogliono con la nuova amministrazione americana. Qualcosa hanno già dato: un appoggio incondizionato a Trump, l’attuazione prima del tempo di politiche a lui congeniali e la disponibilità a contribuire al nuovo corso della politica americana e alla rinata idea di grandezza che sembra ispirare. Fotografia che contribuisce a tracciare una mappa degli interessi che queste aziende anno: dallo spazio, all’intelligenza artificiale, dalla difesa alla guida autonoma, dall’antitrust alle regole per le piattaforme. Elon Musk (Tesla, SpaceX, Starlink, X.com) Elon Musk ha anticipato i tempi. È l’innovatore che si è spostato a destra prima degli altri. Fiutando il tempo come un vero animale politico sa fare. Ma soprattutto smascherando senza appello il pensiero, un po’ facilone, un po’ ipocrita, che dalle parti degli innovatori si è per forza liberali e progressisti. Oggi è chiaro, forse una volta per sempre, che non è così. È uscito allo scoperto con l’acquisto di Twitter a ottobre 2022. Ha cambiato subito le regole del social, il primo a cacciare Trump dopo i fatti di Capitol Hill dell’anno precedente. Ha licenziato prima tutti i manager, poi il team di controllo dei contenuti, ha aperto la piattaforma alla più radicale - per quanto talvolta veicolata - libertà di espressione. Ha annunciato la sua svolta repubblicana accusando i democratici di censura e statalismo. Musk acquistando il social ha messo a segno un’operazione che è andata subito al di là dell’interesse economico. L’investimento non ha ripagato in moneta, ma sì in potere, popolarità e capacità di diventare un poderosa macchina di propaganda delle ragioni della destra americana da lì a poco arrivata al potere. Arrivando lui stesso nelle stanze del potere, portando a casa un ministero, un dipartimento, quello dell’Efficienza, Doge. Certo, Musk ha un interesse diretto che riguarda anche le sue aziende. Nel 2024 la sua SpaceX ha sottoscritto contratti pari a 3,8 miliardi di dollari con il governo americano. Contratti soprattutto con la Nasa. E che potranno trovare nuovo vigore con il progetto di Trump di piantare “una bandiera a stelle strisce sul suolo di Marte”, come ha ribadito durante la cerimonia. Anche Starlink, controllata di SpaceX, ha contratti con il governo americano, in particolare quello che nel 2023 le ha dato l’ok a finanziamenti per 900 milioni per il programma di comunicazioni satellitari governative sicure (Starshield). Non solo. Tesla, l’azienda di Musk che produce auto elettriche, si è aggiudicata centinaia di milioni di sovvenzioni federali per la costruzione di ricariche elettriche e attualmente gestisce la più grande rete di ricarica negli Usa. Mark Zuckerberg (Meta) La svolta più sorprendente però è stata quella di Mark Zuckerberg. Col senno di poi, molti dicono che i segnali c’erano tutti, a partire dalle foto pubblicate in estate con birra in mano e bandiera americana alle spalle mentre surfava dal suo megayatch nei mari del Mediterraneo. Immagine inedita, da ragazzo cattivo, che nei mesi ha contribuito a costruirsi. Eppure Zuckerberg è stato tra i capi dei social che ha deciso il ban di Trump nel 2021. Ha promosso i suoi social (Meta ha Facebook, Instagram e Whatsapp) come piattaforme protette dalle cattive informazioni finanziando per anni i programmi di fact checking. Ha addirittura creato un social anti Twitter dopo che Musk se l’è comprato, Thread. Poi il cambio, radicale, netto. Via il fact-checking, via i programmi di inclusione e diversità, accuse ai democratici di averlo obbligato a scelte contro la sua volontà. Zuckerberg ha diversi conti aperti con l’amministrazione Usa. Ad aprile dovrà affrontare il giudizio della Federal Trade Commission (Ftc), che l’ha accusata di comportamento anti concorrenziale per l’acquisizione di Instagram nel 2012 e Whatsapp nel 2014. Un’altra causa antitrust è stata riaperta lo scorso dicembre, quando una corte d’appello ha deciso di rivedere il giudizio sul caso Phhhoto, app oramai chiusa ma che ha accusato Instagram di averla oscurat
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