Il concerto del 19 febbraio di Paolo Conte alla Scala è uno schiaffo alla storia del teatro e costituisce un precedente pericoloso. Motivi per spostarlo in un altro luogo, spiegati da un grande fan del cantautore - di Piero Maranghi
Il concerto del 19 febbraio è uno schiaffo alla storia del teatro e costituisce un precedente assai pericoloso. Motivi per spostarlo in un altro luogo, spiegati da un grande fan del cantautore, l’ho ascoltata innumerevoli volte dal vivo, da Bari a Parigi, da Torino ad Amsterdam.
Carlo Maria Badini e Carlo Fontana, i due successivi sovrintendenti, rispettarono questo indirizzo. Per Fontana, il più autentico erede del magistero culturale e politico di Grassi, fu una scelta ponderatissima e assai meditata quella di permettere il concerto di Keith Jarrett, scelta che si formò su tre pilastri: le numerose incursioni interpretative dell’artista nel repertorio classico, la contemporaneità della sua ideazione musicale, l’assenza di amplificazioni.
Oggi si è trasformato in un supermarket che fa cucina internazionale, si vedono e si ascoltano spettacoli identici a quelli di Amsterdam, Bordeaux, Dresda e non è più il teatro dei milanesi, Peggio mi sento! La Scala è stato il simbolo assoluto di indipendenza e coerenza di un’istituzione culturale in Italia, da sempre! I NO degli uomini scaligeri alle pressioni esterne e interne sono innumerevoli nel corso della storia, non solo i sovrintendenti ma penso ai Maestri della Scala, penso ad Arturo Toscanini a Riccardo Muti; i loro NO sono un patrimonio della nostra cultura nazionale e del nostro orgoglio cittadino.
Caro Paolo Conte, dispiace profondamente, a un suo così profondo commendatore, dover passare ad altre danze come si passa in altre stanze, in altre parole dover estendere un messaggio così amaro a un artista così amato.
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