Un'intervista dettagliata a Massimo Moratti in occasione del trentennale del suo ingresso come Primo Tifoso dell'Inter. Si parla del suo amore per il club, dei momenti più importanti della sua gestione, dei giocatori che ha voluto bene e della sua visione per il futuro.
Il 16 maggio compirà 80 anni, ma il 18 febbraio la celebrazione sarà altrettanto importante per il trentennale di Massimo Moratti da Primo Tifoso dell' Inter . Nel 1995 acquistò per amore il club da Ernesto Pellegrini con l'idea di provare a ripercorrere le gesta del padre Angelo che negli Anni Sessanta vinse tutto in Italia, in Europa e nel mondo.
Alla fine ci è riuscito anche Massimo, con l'apoteosi del Triplete 2010 a suggellare una gestione passata anche attraverso grandi investimenti e delusioni. Moratti è uscito dall'Inter il 23 ottobre 2014, quando - dopo la cessione delle quote di maggioranza al tycoon indonesiano Erik Thohir - si dimise dalla carica di presidente onorario e ritirò dal Cda della società i tre membri che lui stesso aveva espresso: suo figlio Angelomario (Mao), Rinaldo Ghelfi e Alberto Manzonetto. Ma anche dopo l'uscita è rimasto il riferimento di una parte di mondo nerazzurro, nonché il primo consigliere del giovane Steven Zhang che riporterà l'Inter ad alzare trofei. Moratti, qual è il primo ricordo di quel 18 febbraio 1995? “Fu il giorno in cui si chiuse un discorso fatto con il mitico Peppino Prisco all'angolo di via Bigli giusto una settimana prima. Una cosa appunto rapidissima, un passaggio fondamentale. Allora l'avevo vissuto solo come un momento della vita, si è rivelato un periodo lunghissimo”. In quei giorni provò più orgoglio o pressione per le responsabilità che si stava prendendo? “Fu una semplicissima questione di amore e tifo”. Lei comunque anche tra la fine della gestione di suo padre Angelo e il grande passo aveva continuato a seguire con passione l'Inter. “La decisione di prenderla nasceva proprio dal fatto di averla sempre tifata con tutto me stesso”. Prima partita? “Inter-Brescia 1-0. Andò bene, anche perché era da un po’ che l'Inter non ne vinceva una. C’era ancora Ernesto Pellegrini, che era per metà presidente ma ormai aveva venduto e mi presentò i giocatori negli spogliatoi. Capisco che per loro fu uno choc, visto che incontravano il nuovo proprietario appena prima del fischio d’inizio”. Un altro Inter-Brescia invece segnò un momento iconico per due attaccanti cui lei è molto legato. “Una partita nel mio destino. Trentuno agosto 1997, la grande attesa per l’esordio di Ronaldo nel giorno in cui però il Ronaldo lo fece Recoba con una doppietta incredibile dopo la rete di Hubner...”. A quale giocatore è più affezionato? “Ho voluto bene a tutti, anche perché con me sono sempre stati molto affettuosi pure a fine carriera, ma ne citerei un paio. Il primo è Paul Ince, di cui mi innamorai al punto da andare a prendermelo di persona con un viaggio in Inghilterra, anche per conoscere la sua famiglia. Lui era un tesoro. Peccato che poi fu proprio la moglie a insistere perché tornasse in patria”. E l’altro? “Javier Zanetti, non solo per la lunga militanza. Arrivò insieme a Rambert che della coppia per gli altri era il pezzo pregiato. Invece la Scelta era Zanetti”. Ci spieghi meglio. “Avevo ricevuto da Giovanni Branchini, il procuratore, delle videocassette per visionare Ortega, ma fui subito folgorato da quel laterale destro che sembrava indemoniato. Ricordo che mandai Suarez in Sudamerica per prenderlo. Arrivato lì, Luisito mi chiese per l’ultima volta se ero proprio sicuro di voler prendere Zanetti. Lo ero, ma gli dissi comunque di darmi un’ora, svegliai Mao e ci riguardammo un po’ di video per concludere che ero sempre più sicuro. L’Avioncito (Rambert) lo prendemmo perché cercavamo un attaccante e provammo con lui, che poi rivendemmo allo stesso prezzo”. Il giocatore più forte che ha avuto? “Ronaldo, per distacco. Tra tecnica e velocità, certe giocate le sapeva regalare solo lui”. Tra gli infortuni e quell’addio polemico però non ha dei rimpianti? “Con noi Ronaldo ha giocato la sua stagione migliore in assoluto. Peccato per quel crack al ginocchio e poi per la partenza verso il Real”. Ma se ci teneva tanto e davvero al tempo la scelta era tra il Fenomeno e Cuper, perché lei non sacrificò il tecnico? “A Ronaldo lo dissi, 'lo sai che cambio allenatore ogni 3-4 mesi, fai tanto casino ma magari a breve se ne andrà anche Cuper...'. Lui comunque aveva già deciso di andare a Madrid, anche perché credo che gli avessero offerto un ingaggio altissimo. Mi è dispiaciuto che sia nato tutto da quella questione dell’allenatore che era abbastanza inutile. Ciò detto, il nostro rapporto è sempre stato ottimo e a Ronaldo voglio un mare di bene. Ho a casa in bella mostra il Pallone d’oro che mi ha regalato”. Chi è invece quello che l’ha fatta più arrabbiare? “Ora non ricordo il nome, ma erano sempre i tempi di Cuper. C’era questo attaccante giocoliere preso dal Parma che contro la Roma giocò una partita pessima, senza alcuna voglia, una prestazione di assoluta superficialità. A fine gara vado negli spogliatoi, li trovo tutti arrabbiati per la sconfitta mentre lui invece se la rideva. Non ci ho visto più! Ah ecco, era Morfeo
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