Mirela Kuka: La scienza ama le sue sfide

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L'immunologa Mirela Kuka, di origini albanesi e professoressa all'Università Vita-Salute San Raffaele, racconta la sua storia di successo, segnata da una grande passione per la ricerca scientifica. L'articolo esplora il suo percorso, dalla sua infanzia in Albania all'esperienza negli Stati Uniti e infine al suo ritorno in Italia, dove ha trovato la sua dimensione professionale.

Voltandosi indietro, anche ripensando all'esperienza di ricercatrice negli Stati Uniti, l'immunologa Mirela Kuka è sicura: «L'Italia è un bellissimo posto dove vivere». E aggiunge: «Il fatto che una persona come me, arrivata ancora bambina dall'Albania in una situazione economica non brillante, sia riuscita a perseguire il suo sogno grazie a un sistema di istruzione che dà una possibilità a tutti, penso sia da invidiare. Anche rispetto ad altri Paesi che sembrano più fiorenti».

Mirela Kuka, a soli 43 anni, è professoressa di Patologia presso l'Università Vita-Salute San Raffaele e guida un team di ricerca presso la Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive dell'omonimo Irccs milanese. È rientrata in Italia dagli Stati Uniti nel 2013, dopo tre anni e mezzo trascorsi a Washington DC, in un centro di ricerca dei National Institutes of Health. Studia il molto più che complesso universo delle cellule del sistema immunitario, quei microscopici corpuscoli deputati a intercettare virus e batteri e a scatenare le difese dell'organismo. Per tanti motivi, la sua storia inquadra bene l'evento si celebra oggi, 11 febbraio: la Giornata mondiale delle donne nella scienza. Che non sono tante, anche se aumentano, e che per affermarsi mettono spesso il doppio di impegno rispetto ai colleghi maschi. Kuka era bambina quando è arrivata in Italia, nel gennaio '94: «Mio papà era venuto due anni prima per seguire un corso al Politecnico di Torino, lui è ingegnere e ha lavorato sui treni ad alta velocità, tra cui i “Pendolini”. L'Albania stava con fatica uscendo dal comunismo, ma era un momento difficile, di grande instabilità, e i miei genitori nonostante in Albania avessero entrambi una carriera decisero a malincuore di trasferirsi a Savigliano, nel Cuneese dove a papà era stato offerto un lavoro. Non avevo ancora 12 anni, fui catapultata in prima media a metà anno. Conoscevo la lingua, perché a Tirana si vedeva la tv italiana, vedevo i cartoni di Tom e Jerry, traducevo Beautiful per mia mamma». Mirela Kuka torna con la mente alla sua infanzia a Tirana: «Mi sembra un po’ una favola, tutte le case simili, i vestiti simili, non mi mancava niente perché non sapevo che c'erano altre cose. Come i vasetti di yogurt alla frutta che mi rimasero impressi appena arrivata in Italia...». Le superiori sono un momento magico, al quarto anno ottiene dai suoi docenti la nomination per un corso di orientamento universitario alla Normale di Pisa. E lì, la svolta, il colpo di fulmine per la scienza grazie «a una lezione spettacolare del professor Edoardo Boncinelli sul sistema nervoso e sulla biologia molecolare. Mi si aprì un mondo. Già al liceo mi piaceva l'ora nel laboratorio di scienze ma non sapevo nulla della biologia molecolare genetica e capii che era questo che avrei voluto studiare. Volevo entrare nel dettaglio del corpo umano. Era tutto nuovo per me, ero in quarta superiore e altre lezioni non erano state semplici da capire ma la sua me la sono bevuta dal primo all’ultimo secondo: riusciva a spiegare cose molto complesse con un linguaggio semplicissimo. Da docente, oggi, ricordo la sua lezione: non conta la quantità dei messaggi ma che siano fruibili, interessanti». La strada è segnata. Mirela Kuka, che si definisce «pacata ma testarda», ha deciso: «Farò ricerca». Finita la maturità si iscrive a Biotecnologie. «Era una facoltà appena nata a Torino, ma anche quella che più mi riportava a quelle materie». Dopo la laurea, via a Siena per il dottorato: «Esperienza anche questa straordinaria, grazie al confronto continuo con ricercatori da tutto il mondo». C’è solo un momento in cui il desiderio di seguire la sua strada potrebbe essere ostacolato: «Avevo un ragazzo da sei anni e, concluso il dottorato, due opzioni: tornare in Piemonte o provare - continua - ad andare negli Stati Uniti, in entrambi i casi rischiavo di sacrificare qualcosa. Ma lui mi disse: fai i colloqui, se ti prendono andiamo. Mi presero, lui lasciò il lavoro in banca, in un mese ci sposammo e ci trasferimmo assieme». Una città, Washington, che li accoglie e loro amano, «con tanta gente di culture diverse», ma non è il Paese in cui mettere radici. E ancora una volta tocca a lei a tirare i dadi e decidere dove andare: Milano, Università Vita-Salute San Raffaele, la quarta al mondo per qualità della ricerca dietro solo a Harvard, Stanford e Mit. «A Milano - spiega Kuka - c’è tutto, l’internazionalità, tanti istituti di ricerca e un mondo economico con moltissime possibilità. Sentiamo quella libertà se le cose non dovessero più andare». Dicevamo che oggi si celebra la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, evento istituito nel 2015 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per sfatare miti, superare stereotipi e accelerare il progresso promuovendo iniziative per favorire la piena parità di genere. Proprio in quel 2015 Kuka vince il primo finanziament

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