Due recenti avvenimenti, la liberazione degli ostaggi israeliani da parte di Hamas e la profanazione della foiba di Basovizza, hanno sollevato un interrogativo sulla nostra capacità di apprendere dalle tragedie del passato. Il testo analizza come alcuni interpretino la storia come un monito da rispettare, mentre altri la considerano un precedente da imitare, aprendo un dibattito sul peso delle lezioni del passato nella nostra società.
La liberazione degli ostaggi israeliani da parte di Hamas si è svolta su un palcoscenico ostentatamente aggressivo, biecamente propagandistico e deliberatamente umiliante per le vittime, terrorizzate e già indebolite da mesi di prigionia. La profanazione della foiba di Basovizza alla vigilia della Giornata del Ricordo, con scritte che inneggiano, in sostanza, alla pulizia etnica operata contro gli italiani dai comunisti di Tito.
In entrambi i casi, molti hanno commentato con accorato dolore: “non abbiamo imparato nulla dalla storia”. Ma cosa avremmo dovuto imparare esattamente? Si potrebbe rispondere sostenendo paradossalmente che tra le lezioni della storia la principale è che la storia non dà lezioni nel senso edificante, emancipativo e vagamente consolatorio che intendiamo abitualmente. O meglio ne fornisce sul piano empirico-fattuale: cosa del passato tende periodicamente a ripetersi, con che dinamiche e per quali ragioni, in primis, verrebbe da dire, l’uso della violenza a fini politici. Ma non sul piano etico-pedagogico: cosa non ripetere del passato – errori, brutture, abbagli, illusioni – con l’obiettivo di diventare uomini e donne migliori. Se una cosa dovremmo aver capito, infatti, è che al grande progresso materiale e delle condizioni di vita fatto registrare nei secoli dall’umanità non si è accompagnato un analogo e altrettanto forte progresso morale, come dimostra in particolare la storia del Novecento. Ma si potrebbe rispondere ancora più paradossalmente che, proprio per aver meditato e appreso gli insegnamenti e le esperienze del passato, c’è chi è convinto che i primi vadano nuovamente applicati e le seconde riprese alla stregua di precedenti utili ed edificanti. Quelli di Hamas, ad esempio, non è vero che non conoscono la storia o non ne hanno tratto gli ammaestramenti esemplari e virtuosi che a noi, che certi fatti alle nostre spalle guardiamo con raccapriccio e riprovazione, sembrano scontati e inevitabili. In realtà, essi sanno bene quel che è accaduto agli ebrei in passato, ma ne derivano come indicazione - appunto, come lezione, perversa quanto si vuole ma così stanno le cose - che le persecuzioni di cui sono stati oggetto erano giustificate e meritate. Invocarne oggi l’eliminazione fisica, indicare gli israeliani, in quanto ebrei, come nemici mortali, significa dunque considerare il passato non come un monito affinché certe tragedie non si ripetano, ma come un esempio da seguire, come un precedente al quale richiamarsi. Quale altro senso hanno, se non il desiderio di ripetere una storia che non si condanna ma anzi si approva, i pogrom del 7 ottobre 2023? Ma lo stesso potrebbe dirsi con riferimento a quel che è accaduto a Basovizza. Chi ha deturpato il monumento alle vittime italiane non nega o minimizza le foibe, per ignoranza o per una qualche forma di colpevole oblio, semmai le rivendica, le esalta e le giustifica come fatto storico e scelta politica. La lezione che trae da quegli eventi non è la stessa delle cerimonie ufficiali: l’amicizia tra popoli e il rifiuto di qualunque rivalità politica basata sulle divisioni etniche e ideologiche. Ma l’esatto contrario: il desiderio e la volontà di perpetuare quelle divisioni, arrivando a evocare l’infoibamento come una punizione o una soluzione che si vorrebbe ancora oggi riservare al proprio nemico nazionale e di classe. Insomma, se la storia insegna, come ci si ostina scolasticamente a ripetere, evidentemente insegna cose diverse, profondamente diverse. Ciò che alcuni vivono, guardando al passato, come senso di colpa, vergogna e pentimento, per altri è invece motivo di compiacimento e fonte d’ispirazione. Mai più, secondo alcuni. Ancora, secondo altri. Peraltro è curioso – drammaticamente curioso – che i fatti di cronaca da cui siamo partiti rimandino a due vicende considerate – sebbene su scala diversa – un punto di non ritorno dal punto di vista della memoria collettiva: tragedie storiche talmente grandi e dolorose da aver profondamente modificato la nostra visione della storia, della politica, delle relazioni sociali e dei rapporti tra Stati. Ciò vale, in particolare, per lo sterminio pianificato degli ebrei operato dal Terzo Reich con la complicità dei suoi alleati in guerra (italiani, anzi fascisti, inclusi). La rivelazione di un simile orrore – del quale si è presa consapevolezza a livello pubblico con grande ritardo – si ritiene abbia rappresentato un tornante della storia universale, un salto di qualità del senso morale collettivo, una frattura emotiva che ha rivelato al mondo quale sia, nel concreto dell’esistenza storica, il discrimine effettivo tra il bene e il male, tra il dicibile e l’indicibile
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