Oliviero Toscani: la malattia, la ricerca e l'importanza dell'informazione

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Oliviero Toscani: la malattia, la ricerca e l'importanza dell'informazione
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Un ricordo di Oliviero Toscani, grande fotografo italiano, scomparso a causa di un'amiloidosi cardiaca. L'articolo riflette sulla sua scelta di denunciare pubblicamente la malattia e l'importanza di rendere note le malattie rare per spingere la ricerca scientifica. Si sottolinea l'importanza del sistema sanitario nazionale italiano e del ruolo della prevenzione e si invita alla responsabilità dell'informazione, evitando sensazionalismi e offrendo un quadro completo e equilibrato.

Oliviero non ce l'ha fatta. Se lo sentiva già in agosto quando confessò al 'Corriere' che gli restava poco da vivere perché il suo corpo era stato aggredito da una malattia rara, definita orfana di farmaci e quindi in molti casi letale. Quella sua intervista, quelle sue foto con 40 chili in meno rispetto all'ultimo nostro incontro mi avevano angosciato e spinto a scrivergli dalle colonne di questo nostro giornale.

Anche io, come lui, ho la stessa malattia l'amiloidosi cardiaca, un accumulo di proteine malefiche sul cuore che potrebbe accorciare repentinamente la mia attesa di vita (come un qualunque salame o una mozzarella, quattro anni fa mi era stata indicata la scadenza al luglio di quest'anno, ma non ci credo, vale sempre la precisazione: preferibilmente). Quel giorno volli scrivere che sì, aveva fatto bene a raccontare del male, perché più sono rare le malattie, più vanno rese note per spingere la ricerca. Come lui avevano fatto fuori Italia l'attore americano Robert Urich, presenza fissa in molte serie, il giocatore di hockey Pat LaFontaine che aveva dovuto abbandonare la Nhl o la cantautrice Joni Mitchell. Ma anche no. Non accettavo e non doveva farlo neanche lui di buttare la spugna. Che doveva fidarsi contemporaneamente della ricerca scientifica che fa veloci passi da gigante e del nostro sistema sanitario nazionale. Non aggiungevo nulla su preghiere o speranza di miracoli per doveroso rispetto alle convinzioni di ognuno. Torno a scrivere oggi di Oliviero, che non c'è più. Ho indugiato a farlo, temendo una sorta di pornografia della malattia, di gratuito esibizionismo dell'esperienza personale col male. Invece, mi sono giunte tante sollecitazioni a riprendere i temi che avevo affrontato l'indomani della confessione di Toscani e che, nonostante la scomparsa del grande fotografo, reputo ancora validi. Già allora centinaia di (colleghi) pazienti che non conoscevo, medici (miei e no), persone affette da altre patologie mi fecero sapere di avere apprezzato le mie osservazioni. Che riassumo: 1) il nostro SSN va difeso con le unghie e con i denti perché permette a ogni italiano di sostenere cure altrimenti proibitive (come potrei io permettermi ogni giorno una pillola del valore di 730 euro?). Quindi, paghiamo tutti (tutti!, non solo dipendenti e pensionati) le tasse e chiediamo con forza che alla sanità siano assegnati maggiori finanziamenti; 2) impegniamoci di più sulla prevenzione. La mia malattia aveva offerto un'avvisaglia (non raccolta) in un malessere assolutamente banale e lontano dalle questioni cardiache (problemi al tunnel carpale di una mano). Toscani solo due anni fa - fuori tempo massimo - aveva scoperto la patologia, sicuramente presente nel suo organismo da molto prima. Fare buona prevenzione salva noi e fa risparmiare il sistema, perché è meno costoso affrontare una malattia all'origine che quando esplode senza pietà; 3) incentivare la ricerca. Io ho la fortuna di essere 'cavia' (1.400 in tutto il mondo) di una sperimentazione americana finalizzata alla scoperta di nuovo farmaco che blocchi la malattia. Lo studio è condotto in Italia da una vera eccellenza pubblica come l'IRCCS San Matteo di Pavia e specificatamente dal Centro per lo Studio delle amiloidosi sistemiche e malattie ad alta complessità. La ricerca scientifica, in tutti i settori, non può essere la cenerentola delle voci di spesa del nostro Paese. Un ultimo punto riguarda l'informazione. L'intervista a Toscani, ripresa da tutti i giornali del mondo, fu indubbiamente uno scoop. Assolutamente da rispettare il suo disperato stato d'animo, ma ritengo un errore pubblicare quel drammatico sfogo, privo di un corretto contesto, senza riferire dei progressi della scienza, senza aggiungere una spiegazione medica. Quella lettura mi angosciò e così fu per tantissimi altri pazienti: se non ce la fa Toscani che ha relazioni, soldi, possibilità per sostenere le migliori cure, che speranze ho io, abbiamo noi? Ecco, forse nei giornali dovremmo riflettere un attimo di più su questioni così delicate e riuscire a dare informazioni in modo equilibrato e completo. Anche così distinguiamo l'informazione dall'intrattenimento e dalle esternazioni personali e spesso incontrollate sui social. In chiusura torno al mio lavoro di cronista del gusto. In queste pagine si rende onore all'intellettuale e al grande fotografo. Ma Toscani fu anche un vero contadino nel suo buon ritiro nella Maremma pisana: allevatore di cavalli purosangue Quarter Horse e Appaloosa (quelli degli indiani d'America), di mucche Angus, di suini di cinta senese, perfino di piccioni viaggiatori. Ulivicultore e vignaiolo, insaccatore di salumi. Sempre con le sue armi vincenti: entusiasmo, amore, passione, emozione e fantasia. E naturalmente, provocazione. «Non sopporto mi disse, in veste di produttore di vino - i rituali del bere, i volti dei sommelier quando assaggiano un rosso, i loro tristi movimenti inutilmente pomposi e complicati

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