Ieri Matteo Salvini è stato aggredito in Toscana da una donna originaria del Congo che gli ha strappato la camicia e il rosario. Molti dei fan di Salvini, taluni altolocati, diciamo così, hanno indicato nell’odio comunista e antileghista la causa del riprovevole passaggio alle vie di fatto. Succede nelle stesse ore in cui in parecchi, a sinistra, riconoscono nell’odio fascista l’impronta culturale del tremendo assassinio di Colleferro. C’è un celebre e bell’apologo di Václav Havel (ricordato da Marta Cartabia, ancora per pochi giorni presidente della Corte costituzionale, all’inaugurazione della mostra sul grande dissidente ceco) conosciuto come l’apologo dell’ortolano. Costui, sotto la dittatura stalinista, dirige un negozio di frutta e verdura e fra mele e patate esibisce il cartello con scritto «proletari di tutto il mondo unitevi». Nessuno ci fa caso. La gente va lì, compra quel che deve comprare, paga e se ne va. Gli interessa la merce, mica il cartello. Poi un giorno l’ortolano si rende conto di quanto sia ridicolo, l’apoteosi della menzogna, dell’ipocrisia, e leva il cartello. Fantastico: nessuno s’accorgeva del cartello quando c’era, e tutti se ne accorgono quando non c’è più. L’ortolano ne patirà le conseguenze e anche pesanti. Però il suo gesto ha le dimensioni incalcolabili della verità. In particolare, dice Havel, svela che è soltanto un gioco, ne ha violato le regole, è solo una bagattella, terribile, ma bagattella. Sarebbe niente male se oggi gli ortolani di tutto il mondo si unissero e buttassero i loro cartelli scemi: forse sarebbe più facile capire quello che ci succede attorno, e quanta responsabilità porta ognuno di noi.
Ieri Matteo Salvini è stato aggredito in Toscana da una donna originaria del Congo che gli ha strappato la camicia e il rosario. Molti dei fan di Salvini, taluni altolocati, diciamo così, hanno indicato nell’odio comunista e antileghista la causa del riprovevole passaggio alle vie di fatto. Succede nelle stesse ore in cui in parecchi, a sinistra, riconoscono nell’odio fascista l’impronta culturale del tremendo assassinio di Colleferro.
Nessuno ci fa caso. La gente va lì, compra quel che deve comprare, paga e se ne va. Gli interessa la merce, mica il cartello. Poi un giorno l’ortolano si rende conto di quanto sia ridicolo, l’apoteosi della menzogna, dell’ipocrisia, e leva il cartello. Fantastico: nessuno s’accorgeva del cartello quando c’era, e tutti se ne accorgono quando non c’è più. L’ortolano ne patirà le conseguenze e anche pesanti.
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