Un omaggio a Pino Daniele, il maestro del blues napoletano, in occasione del decennale della sua scomparsa
Morì dieci anni fa dopo aver trovato un incastro unico tra canzone popolare, blues e jazz, sempre con la sua chitarra in mano.Pino Daniele, un talentuoso chitarrista napoletano, in un bar di Via Toledo, nel centro di Napoli. Poggi lo seguiva fin dagli inizi della sua carriera: qualche anno prima aveva scritto per, la rivista con cui collaborava, un lungo articolo dedicato ai Batracomiomachia, la band blues con cui si era fatto conoscere nei locali del centro storico.Daniele.
Poggi accettò, e lui gli consegnò una cassetta che aveva registrato insieme al percussionista Rosario Jermano. Conteneva quattro canzoni: “Che calore”, “Furtunato”, “Libertà” e “’O padrone”. Poggi fece arrivare la cassetta sulla scrivania di Bruno Tibaldi, produttore discografico della EMI, che rimase folgorato dall’ascolto e propose un contratto a entrambi: il risultato fuLa produzione fu curata da Poggi, e nonostante la singolarità della proposta ottenne fin da subito degli ottimi riscontri di pubblico e critica. All’inizio la EMI temeva infatti che l’utilizzo del dialetto napoletano potesse rappresentare un ostacolo linguistico, ma in realtà questa caratteristica contribuì a rendere familiare lo stile di Daniele in tutta Italia: “Napule è” e “’Na tazzulella ’e cafè”, i primi due singoli estratti dal disco, ebbero un successo enorme, e il blues che veniva suonato a Napoli e dintorni diventò prima un genere musicale a sé stante, e poi un fenomeno culturale di interesse nazionale. Da quel momento e fino alla sua morte, avvenuta il 4 gennaio di dieci anni fa, Daniele non avrebbe mai smesso di comporre musica, suonare dal vivo e influenzare nuove generazioni di musicisti, napoletani e non sol
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