L'articolo esplora l'impatto del lavoro smart sulla città di Roma, evidenziando sia i vantaggi di flessibilità e maggiore efficienza che gli svantaggi legati alla desertificazione urbana e al calo dell'attività commerciale nei centri direzionali.
Il lavoro in smart, ma tutto il resto in presenza (servizi, ambulatori, locali e negozi magari aperti fino a orari improbabili, cucine che tirano tardi).
Un binomio asimmetrico che non poteva durare a lungo e che sta producendo attriti nel tessuto cittadino e nelle relazioni industriali tra chi vorrebbe mantenere più giorni di lavoro possibili da remoto e chi, dall’altra parte, vorrebbe poter riorganizzare un modello produttivo meno volatile (come ha cercato di fare il Campidoglio con la sua circolare-strigliata in cui è costretto a ribadire i paletti fondamentali dello svolgimento dell’attività lavorativa). LA PLATEA A Roma lo smart muove persone e cifre imponenti: la platea è di circa 700mila lavoratori, pubblici e privati. Secondo i calcoli della Cgil, è questo il bacino che ha potuto fruire della misura. Sono oltre il 50 per cento dei dipendenti pubblici e almeno il 64 per cento dei dipendenti privati che svolgono mansioni giudicate compatibili con un’organizzazione del lavoro da remoto. Le percentuali potrebbero però variare quando il tavolo tra enti locali e aziende tornerà a riunirsi per capire e misurare gli effetti della “scomparsa dell’ufficio”. Solo in Comune sono 9mila su 21mila i lavoratori che accedono allo smart. E il Campidoglio non è certo l’unico ente locale di governo importante. Negli accordi firmati dalle parti, le amministrazioni avevano già fissato dei confini decidendo che un buon 60 per cento delle attività poteva essere convertito in telelavoro. Quella percentuale, alla luce della circolare inviata dall’assessorato al Personale, è ancora valida? MODELLO URBANO Non solo il Comune. Sfiorano i 50mila, invece, i dipendenti delle cosiddette funzioni centrali. Croce e delizia della Capitale. Cioè i colletti bianchi che popolano (o spopolano a seconda del turno smart) le agenzie governative, i ministeri, gli enti nazionali. Parliamo per esempio dell’Enac, l’Agenzia delle Dogane, il Cnel, l’Inps. Poi c’è l’esercito dei lavoratori della sanità, della scuola. A ognuno il suo smart. Un modello meno volatile, si diceva. Ragionamenti che non rimangono confinati nei palazzi. Perché l’unione fra lavoro agile e crisi urbana sta contribuendo a cambiare volto ai centri direzionali. Almeno così si chiamavano una volta: posti, cioè, dove confluiscono persone e attività legate ai servizi pubblici essenziali, agli uffici centrali delle principali industrie e imprese. Senza il “fattore umano” anche queste isole di civiltà urbana potrebbero perdere il loro carattere originario. Per diventare cosa? SERVIZI DI PROSSIMITÀ È questa poi la grande domanda in cima alle lamentele che compongono il cahier des doléances dei titolari di bar, negozi e servizi di prossimità che coprono un bisogno di conciliazione e creano un ecosistema. I titolari di bar, ristoranti, gastronomie, gelaterie, co-working, ma anche baby parking. Tutti registrano l’impatto negativo delle minori presenze. «Abbiamo studi che segnalano anche il 50 per cento in meno degli incassi», spiega Sergio Paolantoni della Fipe. Ma al di là del racconto sulla crisi economica che colpisce gli affari, emerge in controluce il cambiamento di quartieri e vie. Se viale Mazzini piange già la Rai con i suoi dipendenti che lavoreranno da remoto e non si incontreranno più nei loro locali di riferimento, altri quadranti della città lamentano la stessa desertificazione per cui è diventato sempre più difficile chiudere i bilanci e prevedere i flussi in entrata di presenze legate agli uffici. «Siamo presidi di sicurezza, siamo noi in carne e ossa: io e i miei dipendenti che certo lo smart non possiamo farlo», dice con un sorriso amaro la titolare di un bar gastronomia vicino all’anagrafe in centro. DALL’EUR ALLA COLOMBO Ma soffrono anche le zone vicine ai ministeri e agli altri dipartimenti capitolini: tutta la Colombo ma anche via Capitan Bavastro. Fino all’Eur, dove insistono innumerevoli enti pubblici tra ministeri e uffici. «Qui hanno già chiuso due attività: una è fallita e l’altra ha sventolato bandiera bianca», aggiunge Paolantoni. Le esperienze più recenti, offerte dal banco di prova degli impiegati capitolini, non sono rassicuranti. Mancano ancora i dati su obiettivi raggiunti e tasso di digitalizzazione a dare uno standard alle performances. Gli incassi dimezzati fanno il paio con i buchi di produttività e continuità dei servizi pubblici. Un cumulo di assenze ibride, più che lavoro da remoto, che hanno acceso le preoccupazioni delle associazioni datoriali, nel settore privato. E stanno costringendo le piccole, e piccolissime, imprese e ripensare il business, quando non a rinunciarvi direttamente
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