Un nuovo rapporto evidenzia la profonda crisi del Servizio Sanitario Nazionale italiano, sottolineando un grave deficit di finanziamenti pari a 40 miliardi di euro. L'attuale sistema di finanziamento è iniquo, con una quota esigua della popolazione che sostenta il sistema sanitario pubblico.
Al servizio sanitario nazionale mancano 40 miliardi per rimettersi in piedi e stare al passo con gli altri Paesi dell’Ue. La fotografia a tinte fosche viene dal Rapporto C.R.E.A.
Sanità «Manutenzione o Trasformazione: l'intervento pubblico in Sanità al bivio», presentato nella sede del Cnel, a Roma, che evidenzia un altro «peccato originale» del nostro sistema, ovvero che lo stesso è finanziato dal 20% della popolazione, mentre il restante 80% versa meno del valore dei servizi sanitari che (in media) riceve dallo Stato: «Una esagerata sperequazione dei redditi a livello nazionale», si afferma nel Rapporto, «con conseguenze in termini di sostenibilità, visto che il Servizio sanitario pubblico economicamente pesa sulle spalle di una quota davvero esigua della popolazione». Considerando le compatibilità macro-economiche del Paese, l’Italia potrebbe spendere per la Sanità 19,9 miliardi di euro in più (+11,3% del finanziamento attuale). Ma anche così, la cifra sarebbe lontana dalle necessità reali. Questo incremento, infatti, non sarebbe sufficiente neanche ad allineare l'organico, e le relative retribuzioni, a quello medio degli altri Paesi europei. Per far fronte alle carenze di personale, servirebbero almeno 30 miliardi di euro, e, per allineare oltre l'organico le retribuzioni dei professionisti agli standard degli altri Paesi, sarebbe necessario raddoppiare l'onere complessivo. Venendo alle necessità, invece, dei cittadini, per soddisfare i bisogni sanitari la popolazione italiana spende privatamente «ufficialmente» 41,4 miliardi di euro l'anno (il 23% degli spendenti appartiene a famiglie povere). Ma se si considerano i bisogni reali, i conti sarebbero più alti, considerando che 3,4 milioni di nuclei familiari dichiarano di rinunciare a consumi sanitari e 1,2 milioni effettivamente li azzerano. Ma gli sbilanciamenti del sistema non finiscono qui: nel finanziamento il differenziale di fabbisogno standard regionale è compreso in un range tra minimo e massimo pro-capite di circa 150 euro. Parallelamente, il range in cui si posizionano le differenze delle spese private a livello regionale è di 471,8 euro quindi 3 volte quello del fabbisogno standard e 1,4 volte quello del finanziamento effettivo. Tutto questo ovviamente ha i suoi effetti sulla spesa: si conferma un continuo allontanamento dai livelli medi internazionali; in confronto a un Pil pro-capite inferiore del 19,7% rispetto alla media dei Paesi Ue-Ante 1995, la spesa sanitaria pubblica è sotto la media del 44,1% (gap in crescita dell'1,2% rispetto al 2022 e dell'11,4% nel decennio), e quella privata dell'8,7% (gap in crescita del 2,3% rispetto al 2022 e in riduzione del 12,0% rispetto al 2013). Dunque, poiché i finanziamenti recuperabili non riuscirebbero comunque a colmare il 40 miliardi di gap stimato e dato che non si tratta solo di risorse disponibili ma anche di equità, il Rapporto dice chiaramente che il futuro del nostro Ssn sta nella necessità di fare scelte ponderate anche politicamente impopolari. Si deve ammettere che il Ssn non riesce più a erogare livelli essenziali di assistenza onnicomprensivi, tanto meno in un’Italia dove il sistema fiscale non funziona, «per questo serve una condivisione super-partes». Quindi, se l’universalismo della sanità non si tocca, bisogna lavorare sull’equità perché a oggi il sistema non la garantisce
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