Il primo film di Carrozzini, tratto dal romanzo di Jo Nesbø, chiude Venezia 79: «È la storia di due personaggi rotti dentro che insieme trovano il modo di aggiustarsi»
«Due cose mi hanno attratto e portato a fare questo film», racconta Carrozzini, «La prima riguarda il protagonista,Ho iniziato a lavorare a questo film in un momento della mia vita in cui mi sentivo perso, avevo appena dovuto dire addio a mia madre. E seconda cosa,. Così forte, intatta, ma incombente. L'ho capito subito quando siamo partiti per la Norvegia in cerca dei luoghi del romanzo».
«Hanno le stesse paure. E il figlio rappresenta la speranza per il futuro, qualcuno che può rompere il circolo vizioso e dare speranza a entrambi». Non solo figli. La paternità è presente ovunque, ci sono i padri da uccidere, quelli da cui liberarsi., spiega ancora il regista, «Mio padre l'avevo già perso prima di questo film, e il nostro rapporto era sempre stato conflittuale. Era un padre per certi sensi violento, anche se mai in senso fisico. Sono cresciuto con quest'idea di mascolinità un po’ tossica e questa cosa mi ha fatto sempre un po’ soffrire.
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