La recensione di Luca Giannelli del film di Filippo Barbagallo
Voto: 4 “Levati di mezzo e facci vedere un po’ il film”. Così, col solito senso dello spirito, Dino Risi rimproverava Nanni Moretti, colpevole ai suoi occhi di lesa modestia, di ego strabordante, di occupare insomma fisicamente troppo spazio nei suoi film. Risi, maestro del sarcasmo in commedia, apparteneva alla generazione del “diretto da”; Moretti invece, a quella di “un film di”. Registi e autori. Un mondo di differenza.
Per il suo esordio, intitolato “Troppo azzurro”, Filippo Barbagallo, figlio di quell’Angelo a lungo legato proprio a Nanni Moretti nel segno della “Sacher Film”, per fortuna, non ha scelto la dicitura “un film di”, optando per quella di “scritto, diretto e interpretato da”. Sarebbe stato obiettivamente troppo.
Ma al di là della storia e di una sceneggiatura di carta velina e perfino incurante di imporre allo spettatore situazioni decisamente forzate , a procurare maggior danno al film è proprio l’eccessiva presenza di Barbagallo attore, praticamente sempre in mezzo come il Moretti di Risi, privo di sussulti morettiani e perennemente impegnato in una smorfia continua che forse, chissà, vorrebbe recare memoria degli imbarazzi di un Troisi riuscendo però solo a farne avvertire ancor...
“Io penso troppo” dice Dario a un certo punto all’amico Sandro, il quale gli ribatte “o troppo poco”. Ecco, vien da pensare che abbia ragione Sandro, che il tutto il film sia stato pensato troppo poco. E ancora meno lo abbia fatto -ma questa purtroppo non è certo una novità- chi al Ministero dei beni culturali, ha deciso di sostenere con soldi pubblici il film.
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